Gli ZeroMantra sono una band che si è formata in occasione della frequentazione dei suoi componenti al corso di laurea in Popular Music frequentato a Trento nel 2014. Ne scaturisce un’amicizia, ma anche una collaborazione artistica che porta la band a partecipare con successo ad alcuni concorsi nazionali, sino ad approdare allo studio di registrazione ove viene realizzato l’album d’esordio “La distanza di un semitono” che ho appena ascoltato. Parliamone.
La prima delle nove tracce che caratterizzano il progetto s’intitola “La scala di colori”, brano dall’andamento cantautorale, piuttosto immediato, con una linea melodica semplice ed una cornice musicale che appare un po’ minimalista. Andiamo oltre con “La storia di Emy”, musicalmente più convincente sin dalle prime battute, ma complessivamente mi pare un brano di fruibilità meno immediata, nonostante l’ottima base ritmica e la pulizia che rende più apprezzabile l’incontro tra suoni e voce. “Soprannaturale” è un brano con un buon testo e che “arriva” con facilità. Meno felice è “La tua storia” che forse non riesce ad agganciare l’attenzione di chi ascolta come il titolo dall’intento narrativo lascerebbe presagire. “La distanza di un semitono” è il brano che dà il titolo all’intero progetto ed è un brano che ha un suo buon percorso nella linea melodica ed un ritornello abbastanza immediato, non altrettanto convincenti gli arrangiamenti, pur tenendo conto che ci troviamo al cospetto di un pop molto lineare. Arivati a “In tutto questo” si percepisce un po’ di stanchezza e si comincia a cogliere anche un po’ di ripetitività d’atmosfera che rischia di distrarre l’attenzione. Procediamo con “Due passi per Firenze”, canzoncina piacevole che scivola via, anche lei senza decollare mai davvero, anche se qui possiamo incontrare una struttura musicale meno arrendevole e discreti arangiamenti. Buone, anzi, molto buone le intenzioni testuali che emergono dall’ascolto di “Decidendo” ed anche musicalmente il brano sembra più accurato, pur se non va troppo aldi là della media generale. E si va a chiudere con “Nel nostro giardino” che ha una buona linea melodica, un testo un po’ ingenuo ed un’interpretazione di Matteo Abbatti (che è voce, chitarrista ed autore dei brani contenuti nel cd) decisamente più determinata rispetto alle altre canzoni. Che questo album sia un debutto l’ho scritto e devo dire che si percepisce con una certa insistenza, soprattutto laddove brani non sempre eccelsi non trovano il supporto di arrangiamenti in grado di apportare quei “correttivi” che potrebbero migliorare il prodotto. Non ho poi rilevato particolare originalità neppure nelle canzoni più piacevoli e, purtroppo, questa è una carenza alla quale si dovrà porre rapidamente rimedio per non rischiare di finire, in men che non si dica, in quel bidone tritatutto che è oggi il contenitore di tanta parte della musica, italiana e non. Un consiglio? Riprovateci con un Ep, quattro brani non di più, ma molto più personalizzati e sorprendenti, senza trascendere nel grottesco. Qualcosa di buono c’è, ma va valorizzato molto meglio.