Quando sento parlare di arte contemporanea ho spesso la sensazione di essere preso per i fondelli. E da un po’ di tempo la stessa cosa mi accade quando mi parlano di “alternative rock”. In entrambi i casi, probabilmente, è perchè non capisco. Ma poiché appartengo alla vecchia scuola secondo la quale l’arte deve comunicare emozioni in chi guarda o ascolta e non solo (forse) in chi dipinge, suona o canta, posso ragionevolmente dire che questo ep intitolaro “Carne” de I Fiori di Mandy, non mi “arriva”.
La loro musica, come qualcuno ha scritto, sarà pure fatta di compatezza e di nervosismo controllato, ma è anche un insieme di note buttate lì, due/tre canzoni iniziate e poi spezzate in un solo brano, una linea melodica inesistente o immediatamente smorzata, quasi come se un invisibile inseguitore costringesse la band a continui cambi di direzione. Mettiamoci pure nel calderone tutti i temini che vogliamo, dalla sperimentazione all’istintività, dallo sfogo ai contenuti viscerali più profondi però, ragazzi, dire che con questo tipo di musica ci si rivolge a una nicchia è quasi un eufemismo. Posso riconoscere il coraggio, questo si e ce ne vuole per dare fiato ad un progetto a fruibilità zero, ma che potrebbe anche avere un suo perché ad un’unica condizione: che si tratti del rodaggio di una macchina molto complessa che deve ancora partire. Sulla scorta di questa esperienza, un secondo lavoro che… faccia capire anche a noi, potrebbe forse rivelarsi addirittura sorprendente. Ma per ora, non me ne vogliate, ma quando l’ultima nota si spegne, rimane solo la sensazione della presa per i fondelli. E non è una bella sensazione.