“CafeAmaro” è il titolo dell’album che reca la firma di Diane Peters, arpista australiana e dell’italiano Andrea Ponzoni tastierista ed esperto di effetti elettronici. Un duo che propone otto tracce che potremmo definire di “musica difficile”, se dietro al concetto di “difficile” ci sta la raffinatezza di arrangiamenti sempre ricercati e mai approssimativi e la collaborazione di strumentisti di altissimo livello.
“CafeAmaro” è un cd d’ambiente, anche se nell’insieme di questo progetto il concetto di “ambient” può apparire un po’ stretto. S’inizia subito con un brano che fa capire quel che sarà, “Amarone”, con l’arpa che si fa strada in un mare di suoni modulati, proseguendo poi alternando il suono a immaginari “punti di sospensione”. “Nostra Bossa”, nella prima parte, ha una base ritmica quasi ossessiva che fa da “tappeto” ai voli armonici dell’arpa, per poi traformarsi in un crescendo di suoni e voci fuori campo, per chiudersi in una tavolozza di colori dipinti dal flauto di Stefano Benini. “Dropless” adagia le note d’arpa su di una ritmica più profonda e l’insieme del brano suggerisce immagini che riportano a scene un po’ inquietanti di un film giallo di forte atmosfera. “Open 4” (talvolta anche certi titoli appaiono misteriosi) calca la mano sulla dimensione ambient con qualche vocalizzo sfumato e, nella seconda parte, un delicato ed elegante dialogo tra l’arpa di Diane e la tromba di Francesco Venturini; e si procede con “Luz”, brano tutto sommato interlocutorio che mantiene alta la tensione dell’ascolto senza però suggerire nuove dimensioni. La qual cosa avviene invece con “Yin Yang”, brano ricco di effetti ad ampio respiro, rumore di passi (? o almeno così li abbiamo interpretati) e, accompagnati dall’arpa, ci si inerpica lungo sentieri ove ogni sogno è legittimo ed ogni suggestione probabile. “Celestial” è il brano forse meno convincente, che intinge i suoi colori in sensazioni di free jazz, dà accesso ad una ritmica che nelle prime battute pare quasi scontrarsi con il suono onirico dell’arpa e alla fine non riesce a dare di sé un’esatta definizione. E siano alla fine dell’album con “Disk Full”, con in sottofondo il rumore del mare che accarezza l’intero brano portando chi ascolta verso una meditazione sospesa e prolungata da un finale d’arpa che pare dissolversi nell’infinito. Ottima musica ed ottimi musicisti senza ombra di dubbio. I dubbi semmai scaturiscono dal livello di fruibilità che un progetto di questo tipo può avere su di un pubblico meno preparato (cioè la parte più vasta dei potenziali ascoltatori). Ma, alla fine, ciò ha un’importanza relativa ed è il frutto di una scelta che, alla dimensione commerciale, antepone di gran lunga quella artistica.