“Tempesta e calci” è il titolo del nuovo Ep di Marat (al secolo Marta Lucchesini, cantautrice e polistrumentista romana, diplomata a Officina Pasolini, vincitrice della taga Tenco 2019 per il migliore disco a progetto con il collettivo Adoriza, laureata al Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma in Composizione della musica applicata alle immagini, nel 2021 scrive con Giorgio Gampà la colonna sonora del docufilm di Sabina Guzzanti “Spin time – Che fatica la democrazia” che partecita al Festival del Cinema di Venezia). Mi trovo al cospetto di cinque tracce scritte da questa artista così solidamente impegnata nonostante la giovane età e la prima considerazione che ne scaturisce è che a mio avviso Marat può fare di meglio.
Non che si tratti di un cattivo progetto, anzi, a ben guardare si tratta di un Ep di piacevole ascolto, che però non decolla mai. Dei cinque brani contenuti nel cd, non posso dire di avere provato particolare trasporto o emozioni per nssuno in particolare. Ma voglio provare a tradurre le mie sensazioni analizzando una ad una le canzoni. Sìinizia con “E quindi voglio cadere”, brano abbastanza delicato che mette subito in luce la voce calma e pulita di Marat, un testo interessante ed ironico, musicalmente molto lineare. “1001” inizia con un filo di voce e qui la cornice musicale di fa più importante, il brano e soprattutto il video che lo accompagna ispirano sensazioni oniriche, la linea melodica non è il massimo della fruibilità. “Lo stato delle cose” presenta nuovamente un buon testo e un’ottima interpretazione vocale, la consueta linearità negli arrangiamenti, nulla che faccia sussultare sulla poltrona. “Confessioni di un’onda” è una bella intuizione che solo parzialmente mantiene le promesse nel brano che ne consegue, impeccabile Marat, un po’ piattina la canzone pur se non sgradevole. E si va a chiudere con “Giuro inequivocabilmente” che è forse il brano meno convincente dell’Ep, al di là dell’interpretazione che mi consente di apprezzare quanto Marat canti bene una brutta canzone. Arrivo comunque sino all’ultima nota ravvisando ciò che attraversa l’intero lavoro, cioè l’incapacità di stupire, di destare attenzioni tali da giustificare ascolti e riascolti di uno stesso brano, volendo anche una certa mancanza di emotività alla quale supplisce una tecnica indiscutibile. Ma quasi sempre non basta.