Tagli alla cultura: scelte, ma anche colpe

I “tagli” alla cultura ed allo spettacolo, che il governo sta adottando ed adotterà ancora, a meno di ravvedimenti (dei quali pare di poter cogliere in questi giorni qualche tenue segnale) rappresentano oggettivamente una jattura, per un Paese come il nostro, che di cultura potrebbe vivere. Ma dopo avere manifestato la giusta contrarietà, interpretando il pensiero di chi nella cultura e per la cultura opera con onestà, è altrettanto giusto rivolgere un pensiero a chi, prescindendo dalla crisi economica di questi ultimissimi anni, ha contribuito non poco a gettare discredito su di un comparto che oggi, più di altri, pare destinato a pagare la mancanza i risorse.

 

Il riferimento è rivolto a quelle produzioni cinematografiche finanziate più per condivisione ideologica che per meriti artistici, destinate alle sale d’essai e pensate per un target di fatto inesistente, sino ad interferire negativamente con quelle produzioni indipendenti, che invece hanno spesso rappresentato la linfa vitale del nostro cinema. Oppure pensiamo al premio letterario “Grinzane Cavour” che si è “divorato” qualcosa come 11 milioni di euro di contributi pubblici, portando in cella il proprio organizzatore ed andando ad aprire un contenzioso giudiziario che chissà quando potrà concludersi. E che sicuramente non potrà restituire il maltolto. Eventi questi, che hanno percorso trasversalmente amministrazioni di ogni colore e che, nella sostanza, hanno appesantito i bilanci della cultura in modo intollerabile, oltre ad avere gettato ombre oscure sull’associazionismo culturale e sulla gestione delle risorse pubbliche destinate al comparto. Purtroppo, la resa dei conti, che sarebbe comunque inesorabilmente arrivata, è oggi affidata alla gestione di un governo che non ha mai assegnato alla cultura un ruolo prioritario. Ne stanno scaturendo scelte sciagurate e talvolta anche mortificanti che rischiano di minare alla radice il molto di buono che è stato fatto in questi anni, spesso proprio grazie a quel volontariato che ha nei contributi pubblici la sua unica ed irrinunciabile risorsa. Un tempo si diceva, anche metaforicamente. che era buona pratica separare il grano dalla pula. I contributi a pioggia quasi mai lo hanno fatto. Ancor meno quelli assegnati agli amici degli amici. Ed allora, anziché usare l’ascia del boscaiolo, forse avrebbe più senso riesumare le forbici delle buone sartorie, utilizzando la stoffa per quel che serve, modellandola addosso a chi serve, quanta ne serve, non di più. Quando il ministro Tremonti afferma avventatamente che “…la cultura non da da mangiare….” si cerca e si trova le risposte di quell’opposizione che sottolinea come “,,,forse la cultura non da da mangiare, ma chi ha cultura impara a conoscere i propri diritti….e chi conosce i propri diritti difficilmente muore di fame…”. E questa è una risposta di chi una certa cultura ce l’ha, data ad un qualcuno che la dovrebbe avere. Non fosse altro perché le circostanze ed il fato lo hanno posto a decidere anche i destini di quella cultura che ci appartiene.

 

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