Il primo riferimento estetico che viene in mente ascoltando l’album “Il tempo che scorre” con il rock laconico e metafisico dei Silent Souls, pur con i dovuti distinguo, è quello dei Massimo Volume.
La lunga introduzione strumentale di “Ghiaccio”, che sfocia nella dilatazione aperta di “E stelle” definisce subito il paesaggio sonoro del disco, lasciando le parole un passo indietro rispetto al potere evocativo del suono. Parole che si fanno attendere a lungo, e, quando finalmente arrivano, non pacificate, spigolose, estranee ad ogni idea di metrica e di estetica, appaiono ormai quasi un corpo estraneo, sia che si sovrappongano in maniera disarmonica al respiro della musica (come nella già citata “E stelle”), sia che sfoghino il carico di una veemenza esistenzialista sulla corrente elettrica che innerva il disco (“Chimica e nuvole”). E’ dunque la musica, con il suo respiro lungo e le sue progressioni atmosferiche, a caricarsi addosso il peso grave di queste liriche debordanti, che evocano impietosamente, senza sconti, periferie della coscienza, sogni infranti, angosce inconsolabili e, con loro, l’eco di un’innocenza perduta. In conclusione, “Il tempo che scorre” è l’opera ambiziosa, richiedente, di una band che, con un ulteriore progressivo lavoro di messa a fuoco e sottrazione, potrà probabilmente centrare il bersaglio a cui con questo disco ha inteso puntare. (Silent Souls – “Il tempo che scorre” – Sciopero Records 2019)