Non mi piace. Non mi piace questa abitudine adottata dai cantanti delle ultime generazioni di usare un nome e mai un cognome. Emma, Irama, Annalisa, Lazza, Noemi, Alfa per non dire de La Rappresente di Lista o Dito nella Piaga, solo per citarne alcuni.
Non capisco quale sia la strategia di mercato, ma ho la sensazione, forse sbagliata, che sia un dettaglio sminuente, anche se la storia dimostra che personaggi come Mina, Milva, Dalida, tanto per citare, abbiano raggiunto le vette del successo (e che successo!!), con nomi d’arte e nessun cognome. Oggi che i tempi sono cambiati però, ho quasi la sensazione che celare il cognome sia una sorta di valvola di sicurezza, una specie di assicurazione per una seconda vita qualora l’avventura nel mondo della musica si esaurisse prematuramente. Chi potrebbe mai immaginare infatti che dietro a Dito nella Piaga si cela la signorina Margherita Carducci che tra un paio di anni potrebbe essere una distinta impiegata di banca vivendo una seconda vita da cittadina qualunque dopo i fuochi fatui sanremesi? Ho preso lei ad esempio, ovviamente, augurandole al contrario un successo duraturo. Però, di questi tempi, con il vorticoso ricambio di nomi e di volti nel mondo della canzone e, soprattutto, con il crollo di quel divismo che in passato rendeva immortali anche volti di seconda fascia, avere un nome di riserva, soprattutto se quello vero, può aiutare a far credere a sé stessi che quello della canzone sia un gioco da vivere come un soggetto anagraficamente inesistente. In previsione di un vita vera, che si spera non arrivi mai, ovviamente, ma che, di questi tempi, può essere la svolta di ogni giorno.
