Sara Velardo, “Migrazioni” alla ricerca di sè stessi

Non è facile decifrare la dimensione artistica ed il percorso di “Migrazioni”, recentissimo album di Sara Velardo, cantautrice di origini calabresi, ma trapiantata in Lombardia, che ha composto tutti i dieci brani che compaiono nel cd. La bella voce calda e piena di Sara è fuori discussione, non lo è invece il lavoro nell’insieme, che rivela l’impegno di una ricerca ancora lungi dall’essere tradotta in un profilo definito. (All’interno il video con il brano “Lasciami andare via” contenuto nel cd “Migrazioni”)

 

 

L’album si apre con “Pe ttia”, un brano in lingua calabrese, omaggio alla propria terra di origine, come lo sarà “Terruna sugnu”, altra canzone contenuta nel cd della quale diremo più avanti. Quindi, “Superstiziosa”, una canzone indubbiamente radiofonica, dunque che perviene con una certa immediatezza all’ascolto, resa particolarmente raffinata dall’ottimo arrangiamento di Marco Muzzi e Stefano Faedda e dallo straordinario sax di Angelo Spreafico. Da qui in poi però, inizia la sofferenza o, più propriamente, il tentativo di comprendere dove l’artista stia cercando di approdare. “Paranoia” è un brano tutto in salita, che richiama le atmosfere di quei jazz club un po’ snob, francamente non una gran canzone, “salvata” però dai fiati di Maurizio Arosio che riescono a fare decollare ciò che diversamente sarebbe destinato a rimanere a terra. E le cose non vanno molto meglio in “Lasciami andare via”, pur se a destare curiosità nell’ascolto di questo brano sono gli insoliti quanto repentini cambi di ritmo. “Incanti spezzati” ha un testo interessante che ad un tratto riconduce a quel concetto di “discutibilità” di cui si diceva in apertura: “…quando finisce il colore è inutile stare a schiacciare il tubetto per cercare di trovare ancora rosso da spalmare…” è un passaggio che, in una canzone d’amore, qualche perplessità la può destare. Pur con la consapevolezza che il linguaggio dei giovani è quanto di più mutabile esista da una generazione all’altra e che forse noi di generazioni ne abbiamo viste parecchie. Ed eccoci a quella “Terruna sugnu” che è forse la canzone più interessante del cd. Racchiude di certo tutte le sensazioni che in un album intitolato “Migrazioni” un ascoltatore immagina di poter trovare: il disagio della lontananza, la nostalgia, la consapevolezza di una scelta, le discriminazioni, i ricordi e, in fondo, il desiderio di tornare da dove si è venuti, tradotto in un finale che nuovamente concede alla lingua calabrese lo spazio di un richiamo prolungato e struggente. E’ un brano che potrebbe tradursi in dimensione teatrale per i contenuti che va a rappresentare. Quasi un seguito, seppure in tono minore, del disagio di vivere in un luogo non proprio, è il brano successivo, “Non devo fare rumore”, simpatico riferimento all’insofferenza condominiale nei confronti di chi fa e ascolta musica. Passa “Stagione” senza lasciare traccia alcuna mentre il ritmo più sostenuto di “Per il bene comune”, va a coniugarsi con un testo accattivante che si stempera però, annegando nella ripetitività. E si chiude con “Minuta”, una canzone molto delicata, raffinata, ancora una volta supportata da un buon arrangiamento che molto concede ad un’ottima chitarra. Permangono talune riserve, ma certamente sarà interessante attendere il prossimo lavoro di quest’artista per identificarne meglio il percorso che nel frattempo certamente avrà meglio individuato. (info www.saravelardo.com)

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