Credo che Amadeus sia il direttore artistico più diplomatico della storia del Festival di Sanremo. Una volta bastava qualche attenzione tra nord e sud d’Italia, con la consapevolezza che il sud ha sempre manifestato maggiore predisposizione per musica e spettacolo ed il gioco era fatto. Oggi no. Oggi bisogna essere politicamente corretti ed allora occorre più tempo per badare a tutte le categorie, più o meno diversamente normali, che non per mettere insieme il cast dei cantanti che è poi la vera ragione per la quale da 73 anni esiste un Festival di Sanremo.
Ci vogliono gli etero, ma anche i gay, le lesbiche, ma anche i trans, i bianchi, ma anche i neri. Qualcuno dirà, giustamente: capirai che novità, ci sono sempre state tutte queste persone e tutti lo sapevano. Certo che ci sono sempre state, ma oggi, che continuano ad esserci, vogliono imporcele, perché le differenti appartenenze (formula elegante) non sono più semplicemente persone, ma simboli di un qualcosa che somiglia sempre più ad un ghetto dorato ove tutti dicono che hai gli stessi diritti e nel momento in cui lo fanno, non capiscono che dicendolo, implicitamente, pongono in risalto le diversità. Lo fanno il cinema, la televisione, la pubblcità, poteva non farlo il Festival il Sanremo?
E così facendo la diatriba si sposta su un’altra forma di diversità: i giovani ed i vecchi. Ed ecco gli immancabili leoni da tastiera che non vedevano l’ora di gridare ai quattro venti che Al Bano e Ranieri ospiti al festivalone sono un fatto scandaloso, così come Gino Paoli, Ornella Vanoni e addirittura Gianni Morandi in veste di co-conduttore al fianco di Amadeus. Dimenticando che in altri Paesi i “grandi vecchi” della canzone sono icone intoccabili perché sono pagine di storia e poiché la televisione è uno strumento ormai da ultracinquantenni, l’audience la fa con quei cantanti e non con i rapper o i trapper.
Rapper, trapper e assimilabili spopolano invece sui social, che sono la televisione delle generazioni più giovani. Non vendono dischi, ma fanno “visualizzazioni” e per restare in tema, poteva mancare la regina dei “follower”, Chiara Ferragni in Fedez (si dirà ancora “in”? Boh!). Chissà che in cinque giorni riesca ad aiutarci a capire che mestiere fa.
E per finire, il giallo intorno a quello che Diego Fusaro chiama il guitto Zelensky, presidente dell’Ucraina, che avrebbe dovuto comparire in video al festivalone, approfittando di quella vastissima platea, per fare la sua propaganda guerriera, chiedendo all’Occidente tutto altre armi ed altre sanzioni contro l’odiata Russia. Fortunatamente, fors’anche grazie alle pressioni di gente di buon senso, Zelensky non comparirà e si limiterà ad inviare un messaggio dai contenuti sin troppo intuibili. In quest’ultima vicenda credo che Amadeus non c’entri nulla e che si sia limitato a gestire il gestibile con comprensibile imbarazzo. Che c’entra infatti il Festival di Sanremo (tengo a precisare, da sempre festival della canzone italiana) con le beghe internazionali tra Russia ed Ucraina?
Il vero e non facile lavoro di Amadeus è stato quello di ricucire gli strappi tra il “vecchio” e il “nuovo” del panorama musicale italiano e, al momento, pare gli sia riuscita l’operazione rispondendo alle attese, se non di tutti, della maggioranza.
Tutto il resto, non è festival ma politica. E quella non la fanno i direttori artistici (a meno che non si tratti di Fabio Fazio).
GIORGIO PEZZANA