Radio libere e radio…occupate

Qualche settimana fa abbiamo proposto un articolo sulla storia delle radio libere, dalla loro nascita, fino alla loro trasformazione in network. La nostalgia è un sentimento elevato, ma se ci fermassimo al ricordo, non forniremmo quel servizio di informazione ed opinione che costituisce la base di una rivista come la nostra. Riprendiamo l’argomento, cercando di implementarlo e di fornire al lettore una visione più ampia di un fenomeno che, oltre ad appartenere alla sfera dei ricordi di chi è un po’ più cresciuto, pare interessare anche ai giovani e giovanissimi che rappresentano il presente ed il futuro della cultura musicale che ci sta a cuore.

 

I network, da radiofonici divennero presto televisivi. Molti di noi ricorderanno le prime “radio in tv”, con trasmissioni del tipo Dj Television, o altre più raffinate come Mr. Fantasy. La prima ha costituito il primo esperimento di divulgazione di videoclip che ha dato poi il via alla nascita di network tematici come MTV (anche in italiano). Ascoltando le trasmissioni in lingua originale sui ripetitori satellitari disponibili, si faceva anche un bell’esercizio linguistico, unendo alla cultura musicale, quella più pratica dell’imparare a riconoscere una lingua straniera, quasi sempre l’inglese. Mr. Fantasy merita qualche parola in più: a partire dalla prima metà degli anni ottanta, l’industria discografica conobbe una prima grande crisi, dovuta  in buona parte alla riproduzione abusiva. In ogni locale ove si facesse musica, dalla discoteca alla sala da ballo, molti dj arrotondavano gli introiti, vendendo illegalmente cassette con i famosi “mix”. Questa eccessiva commercializzazione portò ad un impoverimento della qualità musicale, sia compositiva che fonica. Il buon Carlo Massarini decise allora di recuperare l’aspetto culturale della musica pop, rock e melodica. Successe però che quel tipo di trasmissione non portò al ritorno economico in termine di vendite e le majors abbandonarono il format, preferendo il “supermarket” di MTV e simili. Arriviamo all’alba del nuovo secolo con una situazione poco edificante: i cantautori sono in profonda crisi, i giovani sembrano preferire generi di disimpegno come la house music prima, e poi l’hip hop ed il rap. Quest’ultimo si propone come musica di protesta ed i testi delle canzoni sono quasi sempre di denuncia sociale, indipendentemente che si tratti di rappers afro americani, o italiani. A questo genere, nonostante la scarsa qualità musicale, va riconosciuto il merito di avere in parte sostituito ed in parte integrato il vecchio cantautore, divenuto nell’era dei computers più difficle da ascoltare, meno immediato. Il giovane dei prini anni 2000 desidera un messaggio semplice, immediato, poco poetico, rapido ed efficace. Negli ultimi anni si assiste però ad un’inversione di tendenza: il vero mezzo di divulgazione musicale è quello informatico, con i vari applicativi tecnologici, sempre più sofisticati, ma anche di facile utilizzo. Certo la qualità mp3 ed mp4 sono lontani da quella CD, ma più ancora dalla riproduzione fonica che offrivano gli amplificatori valvolari, o a transistors. Fenomeni come “Itunes” vengono visti di buon occhio, infine, anche dalle case discografiche che sembrano aver compreso che il fenomeno download non si può arginare, allora tanto vale regolamentarlo e farci su un po’ di business. Per i nostalgici, e non solo, c’è “Youtube”, basta cliccare e cercare un pezzo, vecchio, o nuovo e  si trova il mondo, ma la fonica è, ahimè, sempre più scadente. I cantautori sembrano tornare alla ribalta: è il caso di Roberto Vecchioni e della sua recente vittoria a Sanremo, con una canzone bella nella sua semplicità ed attuale nella sua costruzione, molto migliore dell’abbondante spazzatura di alcune edizioni passate. Le radio? Esistono, ci accompagnano ogni giorno nel traffico delle città, o nelle nostre case, ma sono ormai esclusivo appannaggio del maggior offerente: i passaggi dei brani vengono venduti alla stregua di spot pubblicitari e con il medesimo sistema di marketing. Succede per esempio che, tranne qualche rara eccezione, i migliori brani dell’ultimo Sanremo vengano dimenticati a favore  di quelli “spinti” dalle majors e dagli sponsors. La dimensione casalinga delle radio pare essere persa e l’unica libertà di scelta appartiene ormai solo al web. Lo stesso si deve dire per l’editoria musicale: il web rappresenta il libero arbitrio, e la scelta della gente va a “cliccare” sul buon gusto.

 

 

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