“Eroi del 2020” è il titolo dell’album che segna il debutto del cantautore romano Piro (al secolo Alberto Piromallo Capece Piscicelli, il che spiega il perchè di uno psudonimo con due vocali e due consonanti). Sono nove tracce che offrono indubbiamente un quadro piuttosto eloquente del modo di pensare alla musica di Piro, non sempre convincente, con alcune buone intuizioni, ma ben più numerose lacune, che solo parzialmente testi e arrangiamenti riescono in qualche modo a colmare.
S’inizia con “Come tutti i giorni” che in realtà è un buon biglietto da visita, anche se la voce non è gran cosa, ma ben si coniuga con una linea melodica discreta ed un testo ben strutturato; in questo caso l’arrangiamento supporta molto bene la voce. “Una settimana”, almeno in termini di fruibilità, rappresenta un piccolo passo indietro rispetto al brano precedente, ma è interessante il testo sufficientemente narrativo che descrive storie e situazioni senza ermetismi; la voce è fragile quanto lo è la linea melodica. “Come se” stenta molto a decollare in un contesto testuale e musicale un po’ fiacco. Ci si riprende con “E tu no” che è una buona intuizione, tratteggiando un dialogo immaginario ed ostinato; funzionano anche il ritornello e l’arrangiamento. In “La donna del futuro” si cerca inutilmente una linea melodica che no c’è, soprattutto nelle battute iniziali; dice poco anche il testo, insomma una canzone poco riuscita. Ma a seguire c’è “Questo vento” che funziona meglio, anche se il testo è un po’ sconclusionato (è però in questa canzone che è nascosta la frase che darà il titolo all’intero lavoro); curiosamente in questo brano funziona maluccio la strofa ed invece convince il ritornello, tanto che alla fine la canzone non risulta sgradevole. “Vodkaredbull” ha una dinamica piuttosto vivace ma… attenzione ai congiuntivi: “… ad aspettare che esce il sole…” non va bene. Ed approdiamo al brano migliore, “Città d’Oriente”, una canzone con una struttura piuttosto tradizionale che scorre fluida con un buon testo, una buona linea melodica, un ritornello che “arriva” finalmente bene. E si chiude con “Mi piacerebbe volare”, un pezzo rinunciabilissimo, non tanto perchè da considerarsi più o meno piacevole, ma semplicemente perchè non lascia traccia. Alla luce di quanto ascoltato, è difficile pensare ad una sufficienza per un album che, oltre ad avere un paio di canzoni convincenti (il che sarebbe poco anche per un Ep) di fatto non mette in luce una personalità decisa, un tratto originale, una cifra artistica davvero definita. C’è l’attenuante del debutto, è vero, ma a volte non sarebbe male ricordare agli emergenti di oggi che i grandi big del passato, quelli per intenderci del tempo del vinile, prima di approdare ad un 33 giri (cioè il corrispettivo dell’album odierno) dovevano avere alle spalle alcuni 45 giri di grande successo. Senza un percorso fatto di tanto studio e tanto live, è difficile per chiunque affrontare un album, che dovrebbe essere la prova massima per un artista.