E’ quello della Peppa Marriti Band, “Ajeret”, uno degli album più originali ed interessanti in circolazione in questi ultimi tempi. La band, costituitasi nel 1991, è di Santa Sofia d’Epiro, un piccolo centro di lingua albanese in provincia di Cosenza. Il gruppo si caratterizza per una musicalità che coniuga arie rock tipicamente americane con l’arberesh che apre orizzonti di ricerca sui canti tradizionali della comunità cui il gruppo appartiene.
Sin dal primo brano si coglie un desiderio quasi evocativo che sistematicamente viene accentuato dalle note del violino. I ritmi possono essere ballabili, talvolta di ispirazione balcanica, ma non meno frequenti sono le sfumature orientali ed in alcuni casi le arie che riportano al medioevo. Parlare di questo progetto come di un’operazione di facile ed ampia fruzione sarebbe certamente azzardato, anche se la dimensione live di alcuni brani può certamente suscitare un interesse più immediato. Si tratta però di un’operazione storico-filologica importante, come lo è il recupero di quelle culture meno note che spesso ci sorprendono per la loro vitalità. Per queste ragioni l’album di questa curiosa band va visto come una finestra aperta su di un mondo che pochi conoscono, ma anche come un tentativo di salvaguardia e tutela di una dimensione culturale remota. Musicalmente i suoni sono sempre pieni e intensi, gli arrangiamenti, pur tenendo conto di una certa irrinunciabile contemporaneità, non soffocano la natura autoctona del progetto. Bello l’inserimento in lingua italiana nel brano “Habiàne & Dellfine”. Interessante anche, dal punto di vista storico, il recupero, in “Petkat de te mirat tona”, del testo dell’archimandrita Pietro Camodeca dei Coronei di Castroregio, musicato negli anni ’60 da Papàs Emanuele Giordano di Frascineto.