E’ nitidamente percettibile, dietro le quinte del cd “Chimera” degli Ottodix, la presenza di una mente brillante, eclettiica, colta. La si indovina disillusa, a tratti anche cinica, ma non ancora doma né sconfitta. In un’atmosfera post-moderna, con riferimenti esplicitamente steampunk si srotola un concept album ricco di suggestioni e spunti di riflessione, con frequenti rimandi letterari, musicali, cinematografici, culturali che (miracolo!!) riescono a risultare sempre motivati, stimolanti e mai spocchiosi o fine a sé stessi, come troppo spesso accade a chi si cimenta nella musica “impegnata”.
Lucide e disincantate le osservazioni proposte da ognuno dei pezzi, in un susseguirsi di riflessioni controcorrente, anche se espresse con un linguaggio chiarissimo, lineare, privo di birignao pseudo-intellettualoidi. E tuttavia piene di implicazioni, riferimenti ed informazioni, per chi è in grado di coglierli. Lo stile musicale è un elettronico pop, fruibile sino ad essere “orecchiabile”, che riecheggia in diversi passaggi certe sonorità dei Depeche Mode. Un tappeto piacevolissimo ma assolutamente mai banale, e costantemente carico di energia emotiva, ben più di un semplice supporto per dei testi importanti ed incisivi come questi. La voce dell’interprete (ed autore) è quella estremamente espressiva di Alessandro Zannier.
Si snoda così un percorso concettuale ben definito: la banalità omologante del presente occidentale. L’odiosa, cieca logica meccanica del profitto e del consumismo, passivamente subìta e vissuta dalla maggior parte della gente. Le insidie inevitabili del futuro prossimo venturo, che ci si ostina a non vedere, a non considerare, chiusi nel nostro piccolo mondo artificiale ed illusorio. Magistrale “King Kong”, che mette in guardia dall’inevitabile rabbia dei molti esclusi dal banchetto della nostra arrogante ed ottusa opulenza. Splendida e passionale, anche musicalmente “Mulini a vento”, suona quasi come un appello per i Don Chisciotte del nostro tempo (“Siamo visionari, fuori dai binari, siamo gli anti eroi. Loro sanno farti male, fingiti normale, fingi finché puoi (…) Non accettare sogni da questi sconosciuti, hai nel cassetto quelli sopravvissuti). Mentre è una sorta di sogno sospeso nel tempo e nello spazio, in un’atmosfera quasi onirica a passo di valzer “Le città immaginarie”. Un disco non solo da ascoltare, ma da decifrare, da vivere, da assorbire nel profondo. Imperdibile: un lavoro che si pone oltre la media qualitativa della produzione nazionale, anche da parte di nomi ben più noti.