L’industria discografica, nel 2010, rispetto all’anno precedente, ha perso sei milioni di euro. Il dato, trasmesso dalla Fimi nelle giornate convulse del Festival di Sanremo,va interpretato con una chiave di lettura che deve tenere conto di svariati elementi, non tutti negativi. Perché, se la vendita dei tradizionali supporti musicali (i compact disc) registra un “rosso” vistoso, non altrettanto si può dire per il traffico musicale online, che è cresciuto del 10 per cento rispetto al 2009 e che ha consentito di realizzare ricavi per 22,5 milioni di euro. Insomma, il pubblico non si è stancato della musica, ma ha semplicemente cambiato il modo di ascoltarla. Occorre tenerne conto all’indomani della più importante rassegna musicale italiana, che ormai da anni non è comunque più, dal punto di vista discografico, la grande opportunità del tempo andato. Fortunatamente nella sala stampa del teatro Ariston si parla anche di questi argomenti e non solo del colore degli abiti di Belen e della Canalis o del perché Luca e Paolo abbiano accennato ad un’imitazione del Papa, smorzandola immediatamente. Il ciclone Benigni è passato con lo stesso fragore delle Frecce Tricolori che nel pomeriggio di ieri hanno percorso i cieli sanremesi tracciando la loro tradizionale scia che riporta ai colori del vessillo nazionale. Non male la serata dedicata al 150° dell’Unità d’Italia, che ha attinto ricordi ed emozioni dalla canzoni del passato, ma questa sera si torna al presente ed è un presente colmo di contraddizioni caratterizzato dallo scontro tra i sostenitori (non sempre disinteressati) dei talent show e quindi di coloro che al festivalone ne sono l’espressione (Emma, Nathalie tanto per citare i nomi più significativi, ma anche Serena Abrami ha percorso, seppure meno rumorosamente, i corridoi di “XFactor”) e coloro che invece valutano la canzone fine a sé stessa senza lasciarsi trascinare dalle mode del momento. Dario Salvatori, critico musicale e autore di svariati libri dedicati alla canzone, tra cui non ultimo quelle della storia della “hit parade”, ieri sosteneva che i ragazzi che escono dai talent show pensano che la musica sia tutto ciò che si vede in televisione e che per loro il vero premio dovrebbe essere non la passerella del festivalone, ma la promozione di una serie di concerti nel corso dei quali abbiano la possibilità di “vivere” la professione nel senso più autentico. E’ una tesi tutta da condividere, anche perché il rischio vero, che già si sta verificando, è quello di creare un esercito di inutili meteore, sedotte ed abbandonate