Partiamo da una premessa: di band che fanno del frastuono la loro cifra rock, l’Italia ne è piena. Il fatto che tra queste si possa annoverare anche Endrigo (formazione di radici bresciane che sa Dio perchè abbia voluto adottare il nome di un cantautore e poeta di finissima e immortale levatura) nulla toglie e nulla aggiunge alla desolazione di un paesaggio che sforna tantissime frustrazioni e pochissima musica.
Detto questo, dall’ascolto di “Ossa rotte/occhi rossi”, l’album che reca le undici tracce della band, solo in due casi si riesce a cogliere un cenno di originalità, tanto da far pensare più ad una casualità che non ad una scelta. I brani sono “Sobrio” che musicalmente, nella voce e negli arrangiamenti si affranca in parte dal fragore generale e “Letargo” che tra le pieghe del delirio lancia un messaggio interessante. Ci potrebbe forse stare anche “Frankestein”, almeno come costruzione del brano, non fosse inficiato (come altri) da rinunciabilissimi riferimenti a Dio, alla chiesa, ai preti con l’aggravante di un sospetto di bestemmia che nel testo appare e nel brano è sommerso dalla musica. Per il resto, è notte fonda che forse potrà trovare lo sperticato elogio degli incazzati cronici e dei frustrati tipici, ma che non ci lascia in alcun modo capire per quale ragione tra le tante (troppe) proposte pseudorock di quesi tempi, si dovrebbe scegliere questa, con l’idea di avere trovato qualcosa di diverso, se non qualcosa in più. Si trovano invece tanta rabbia, tanto disagio, tanta prepotenza verbale, talvolta gratuita come la parola “merda” buttata lì sul cd, senza una ragione, tanto perchè si veda mentre si armeggia per ascoltarlo.