E’ sicuramente una piacevole sorpresa la scoperta e l’ascolto di “Never Again”, il primo album di Juno Verne, formazione synthpop/new wave italiana della quale fanno parte Mirko Fermani, Frank Micucci e Micol Albrandi. Si tratta di dieci tracce che riescono a tratteggiare in modo piuttosto esaustivo il percorso artistico di questa band che pur con lo sguardo rivolto agli anni ’80, riesce a far tesoro del passato per tradurlo in un presente rinnovato e per questo attuualissimo.
Il brano iniziale è quello che dà il titolo all’intero progetto, con suoni asciutti e puliti e la voce forte e intensa di Micol, si viene quasi subito attratti da una dimensione che sfugge ad ogni moda contemporanea e torna a proporre canzoni nel senso più comune, ma non scontato. “Castaway” si avvaòe della partecipazione di Serena Abrami (voce) e delle chitarre di Eugenio Bordacconi, il brano ha buoni arragiamenti, le sonorità sono sempre decise, ma mai sopra le righe. “The Prophet” è una canzone dall’aria molto anglosssoe e non solo perchè il brano (come tutti gli altri) è interpretato in lingua inglese, ma soprattutto per le sue sonorità, forse la linea melodica non è del tutto convincente, ma l’ipotesi della dimensione live rende il tutto più attraente. “Pink or Blue” appare come un brano strutturalmente più semplice e quindi più immediatamente fruibile e sempre interessante è la voce che contribuisce a rendere il brano di buon ascolto. “Part of the Machine” rivela nuovamente la voce di Micol che appare ancor più decisa; interessante il gioco di voci nella seconda parte, qualche dubbio sugli arrangiamenti che a tratti paiono spengere un poco il brano. “My Legacy” si presenta con una ouverture piuttosto impegnativa e la voce maschile che si staglia con convincente puntualità “raggiunta” poi dalla voce femminile il che dà un diverso smalto ad un pezzo in realtà non d’immediata fruibilità (anche qui da registrare la partecipazione di Serena Abrami); si tratta comunque della traccia più elaborata e probabilmente più pensata dell’intero Cd, lascia intuire un’interessante versione live grazie anche ad una chiusura incalzante e, per certi versi, maestosa. E’ interessante allo stesso modo il canto a due voci in “Night is for Lovers”, anche se quella maschile in un paio di frangenti appare un po’ stridente sui toni alti, ma alla fine la “fusione” ci sta; buona la linea melodica e buoni gli arrangiamenti. E ci si approssima alla chiusura con “Adam” che strizza l’occhio ad una dmensione più rock, bello il trasporto vocale che conferisce veemenza al brano. Si torna quindi al pop con “We are not the only ones”, pezzo più ritmato, che sceglie una maggiore leggerezza all’ascolto risultando piacevole. E si chiude con una versione strumentale di “The Prophet”, nulla di che, forse perchè al confronto con la versione precedentemente ascoltata qui si avverte un senso di incompletezza. Ciò nulla toglie comunque alla sostanza di un progetto ben definito e ben realizzato, dalle sonarità e dalla vocalità piene, giusto mix tra una ricerca musicale più impegnativa ed un occhio rivolto ad un’accettabile livello di fruizione. Ancor più meritevole di attenzione è questo progetto se si pensa che per Juno Verne si tratta del primo album.