NELL’ISOLA DI LUCIANO TARULLO C’E’ UN ROCK DI TROPPO

Giunti all’ultima nota dell’ultimo brano de “L’isola”, il recente album del cantautore di Agropoli Luciano Tarullo, una domanda si pone con una certa veemenza: perché volere ad ogni costo contaminare un lavoro di chiara impronta cantautorale con un rock “gratuito” e, soprattutto, inutile? E’ vero, oggi il cantautorato più tradizionale è in affanno, ma non lo si recupererà snaturandolo con percorsi che non gli sono affini.

Si, perché Tarullo è un ottimo cantautore e in questo lavoro mette in pista almeno tre brani di notevole spessore cantautorale, ma già con il primo brano pare preoccuparsi di voler rassicurare eventuali critici che…si, è canzone d’autore ma…tranquilli, ci sono molti richiami rock, suscita qualche perplessità. Per questo “E’ cosi che va il mondo” parte con una chitarra aggressiva per rivelare poi, strada facendo, una linea melodica che si esalta nella semplicità. “Il senso di noi” è un brano cantautoral-pop che incontra qualche forzatura di matrice rock. “L’isola” dà il titolo all’intero progetto è meno convincente come linea melodica pur avendo un buon andamento musicale. “Spalle al muro” è un brano con un testo intenso, definito un “manifesto contro le apparenze” sorretto da una buona ritmica. “Tu da che parte stai” è musicalmente in linea con la traccia precedente anzi, a tratti molto simile, il testo pone allarmi e interrogativi sui pericoli del mondo. Ed eccoci nella parte migliore di questo album, con “Benvenuto”, brano intimista, a tratto appena percettibilmente dissonante, con voce e pianoforte a narrare ciò che Luciano avrebbe detto a Luciano 28 anni fa, cioè nel giorno della sua nascita; è una bella intuizione degnamente rappresentata. A seguire, “Come un battito d’ali”, una canzone sulla morte che può portare via troppo presto le persone, un testo con un percorso narrativo convincente ed una sorprendente prova di vocalità di Tarullo, una canzone che “arriva” e lascia un segno. Quindi “Il tempo” che è un brano tutto sommato rinunciabile, per arrivare infine a “Quello che resta”, bel testo, bell’arrangiamento, dimensione assolutamente cantautorale alla quale, davvero, non serve altro. Un album tutto sommato piacevole quello di Tarullo, che deve avere il coraggio di valorizzare e proporre la propria vera dimensione, che è quella della canzone d’autore e che lui è in grado di rappresentare assai bene.

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