S’intitola “My Lonely Sun” ed è l’album che segna il debutto dei Double Syd, un duo formato da Adelmo Ravaglia (voce, chitarre ed organi) e Enrico Liverani (voce, chitarre, basso e batteria) che definisce il proprio genere rock-psichedelico. L’amicizia dei due musicisti risale ai tempi delle scuole elementari, così come la condivisione per la passione per la musica e la ricerca in ambito musicale. Questo progetto, che contiene undici tracce, rappresenta un percorso che richiede un’attenzione particolare per le diverse soluzioni musicali e vocali che vengono proposte; per questo non può essere annoverato tra i dischi di più immediata fruibilità anche perchè il tentativo è quello di mettere in campo un ampio cammino di ricerca tra varie soluzioni espressive.
S’inizia con “Sun” e si comprende, alla fine, il perchè: si tratta del brano forse più bello dell’intero lavoro, caratterizzato da suoni pulitissimi ed un bel connubio di voci. “On my paper” è un brano con una linea melodica di facile presa, un’esecuzzione impeccabile e buoni arrangiamenti. Il percorso un po’ in salita inizia con “Violet”, decisamente meno facile, caratterizzata da arrangiamenti più complessi e da atmosfere che evocano galassie lontane, un po’ gelide. “Wonderfall” è un brano soft dall’andamento piano con effetti penetranti sul finire; la mia convinzione è che questo brano potrebbe garantire una resa migliore con arrangiamenti un po’ meno arruffati, se non addirittura in dimensione acustica. E’ suggestiva “The best fantasy” grazie soprattutto al gioco di voci sussurrate, in un contesto sostenuto, ma tutto sommato semplice pur se scandito da effetti che paiono improvvise virate, sino ad approdare ad un finale un po’ stridente. Più ritmato appare “What i want”, che paga un po’ la monotonia di una ripetitività che traspare qui e là. “Beatle” è una canzone dalla linea melodica più morbida, di buon ascolto, senza sussulti, ma piacevole, direi quasi rilassante. Di buona fruibilità appare “Wednesdy morning”, che scorre bene senza lasciare tracce profonde, al di là della sempre buona esecuzione; musicalmente appare un po’ spigolosa. Non mi convince “She is rising” che mi sembra un po’ penalizzata da un’eccessiva sovraesposizione di suoni come poco o nulla aggiunge al progetto “Let see”. Molto interessante è invece il brano che chiude l’album, completamente strumentale, intitolato “Space western blues”; di blues non c’è nulla, si apre con una alternanza si sonorità a tratti indistinte che sfociano poi, nel mezzo del brano, in un suono d’organo assolutamente incantevole per andare a creare una più ampia suggestione; indubbiamente è con “Sun” il brano più interessante dell’intero lavoro. In chiusura, ribadiso quanto già scritto: complessivamente è un lavoro che va riascoltato, non è di facile fruibilità, m merita attenzione sia perchè si tratta pur sempre di un debutto, sia perchè propone un qualcosa che va abbondantemente al di là dei canoni abituali.