Mosè Santamaria è un cantautore, ma anche un poeta, ma anche un musicista. E come se non bastasse è genovese, città che di cantautori ne ha visti parecchi, tanto da averne fatto una scuola. Pochi giorni or sono ha pubblicato il suo nuovo album intitolato “Salveremo questo mondo”, accompagnato da un omonimo singolo/video, un progetto ambizioso, un contenitore entro i quale Santamaria ha cercato di metterci di tutto un po’, dal complottismo alla sfiducia verso la politica, dai riferimenti mistici alle banche ed alle multinazionali, senza tralasciare ricordi, citazioni, solitudine, droga e sesso, ma anche e soprattutto amore, come egli stesso ha tenuto a precisare nella presentazione di questo lavoro.
Ed allora iniziamo proprio con il brano “Salveremo questo mondo” che è decisamente una canzone che “arriva”, un brano interessante che mette subito in evidenza una voce forte e chiara, un ritmo incalzante ed una struttura musicale ben definita. “Circuiteria” ha una piacevole linea melodica e comincia a porre in evidenza nel testo quella che è una caratteristica forte di questo album: la ricercatezza dei termini, dei toni, dei paragoni e delle citazioni; ed anche quel vezzo che scopriremo in più di un brano, di tratti di narrazione avvolta dalla musica, come se a parlare fosse una voce interiore, una voce che talvolta non ascoltiamo. “L’ultimo grido di dolore di Kali Yuga” ci rivela come Santamaria sappia mettere molto bene in ordine le parole, anche quando il brano non suscita particolari fremiti, come in questo caso. “Era solo un Blablacar” mette in campo tanti flash, tante situazioni che inducono ad un coinvolgimento emozionale, l’accompagnamento musicale, in questo caso, appare un po’ appesantito, ma come sempre è il testo a guidare l’ascolto. “Kerouac” è un brano che inizia con il più classico e cantautorale accompagnamento alla chitarra ed immancabile arriva la curiosità di una linea melodica che non pare esaltante, ma che proprio nel momento un cui sembra cadere, ha un battito d’ali che la risolleva. “Brucia ragazzo”, con riferimenti a personaggi e nomi, ha in realtà un bel testo che pone nell’evoluzione dei tempi e dei ricordi una dimensione un po’ affannosa del vivere e del ricercare un futuro annebbiato, ma irrinunciabile. “Piccola madre” è una canzone delicata in cui testo e musica di fondono armonicamente per conferire al brano una cifra definita. Anche in “Fiori di loto” si citano volti e personaggi, passioni e “veline”, in un alternarsi di domande e risposte che si rincorrono. Ed infine, “Pregare al sole”, che nonostante un passaggio che, sempre a proposito di linea melodica, suscita qualche secondo di perplessità, si risolve poi in una grande apertura musicale che ci accompagna sino alle ultime note in un’atmosfera di forte intensità. E’ un album colto quello di Mosè Santamaria, un album che guarda ad un pubblico più attento e preparato pur senza trascurare linguaggi e tematiche di assoluta fruibilità. La dimensione cantautorale c’è tutta, ma in una costruzione musicale che quasi sempre riesce ad attualizzare un percorso artistico che affonda le proprie radici in un prestigioso passato, guardando però all’oggi, con un linguaggio che trova una sua giusta collocazione generazionale. Come dicevo in apertura, la voce è chiara e decisa. Il progetto ha una propria originalità e per questo può suscitare motivate attenzioni.