S’intitola “Mangiasabbia” ed è l’album del duo bolognese Ubba Bond (vale a dire Guglielmo Ubaldi e Andrea Bondi). Un duo che si definisce “modulare”, cioè aperto alle collaborazioni con altri artisti, dando quindi vita di volta in volta a realtà che si uniscono e si sciolgono a seconda del progetto che si va a mettere in campo. Fin qui, tutto bene. I guai però iniziano quando ti trovi, alla fine dell’ascolto, a dover parlare di queste dodici tracce (si, ben dodici e più d’una sfiora i sette minuti!) perchè la sensazione è quella già provata: annuisci per non fare la figura del cretino, ma in realtà hai subìto un qualcosa che non sapresti spiegare. Eppure c’è chi ha scritto “Aria fresca nel panorama indipendente italiano…”.
E allora, come uno scolaretto, fai partire la musica. S’inizia con “Solo per matti”, dedica appropriata visto che si tratta di una breve intro assolutamente rinunciabile. Ed ecco il primo pezzo vero, “Bob”, un brano interamente narrato (?) su di una base musicale in realtà molto piacevole, ma quelle frasi buttate lì, quelle parole senza senso, paiono le riflessioni ad alta voce di un ubriaco; e non basta il bell’inserimento di un sax per distoglierti dallo stupore. Ma siamo solo all’inizio. In “Girasoli olandesi” quanto meno si canta e lo si fa su di un buon ritmo, il testo è sempre di quello di prima, ma nella seconda parte una bellissima chitarra allieta e distrae. “Sale” è un brano breve per pianoforte e voce, lo chiamano nonsense. Segue “Le correnti”, 1′ e 40″ di cori cantilenanti e crescenti che conducono la mente ad uno dei gironi infernali di dantesca memoria (certamente il significato sarà tutt’altro, ma questo mi ha ispirato l’ascolto). Ed arriviano a “Sushi”, che mi evoca una sorta di storia d’amore a due voci con narrazione nel bel mezzo del brano, probabilmente per riassumere con il racconto ciò che il cantato non riesce a dire, dopodichè riprende la canzone e sono gradevoli le voci che si intrecciano sino all’ultima nota. In “Filo interrotto” il protagonista è un ragno (ma sarà proprio un ragno o va inteso in senso allegorico?); il brano ha una sua bella pienezza musicale. “Temporeale” è un brano quasi tutto strumentale, molto dinamico, ben strutturato, coinvolgente e di notevole impatto, solo che poi, nella parte finale, si torna a narrare (in inglese) e si prova un po’ di rimpianto per quanto si stava ascoltando. “Su milioni di auto”, con la partecipazione di Massimiliano Guidetti, è nuovamente un brano che reca la voce narrante su di un “tappeto” musicale su quale, ad un tratto, compare una luce musicalmente bellissima, ma troppo presto rapita. “Sake” (durata 2′ e 36″) è la cosa più bella di questo album, brano musicalmente molto intenso, vagamente rock ma senza eccessi, davvero piacevole. Ed arranchiamo verso la fine con “Aprile” ove mi si ripropone quella sensazione di etilismo spinto che già avevo incontrato in “Bob”; frasi sconnesse gridate al vento, su di una chitarra grattata dolorosamente, ma non ne devo dire male, sicuramente hanno un significato preciso… sicuramente! E si chiude con “Piove il mondo” dove colgo questa perla: “….ieri porterò il cane al mare… sempre che abbia voglia di mangiare…”, ma sono io che non capisco. Poi, intorno al minuto 3, cambia lo scenario musicale, prima di tornare al delirio; peccato, la voce è bella ed il brano avrebbe anche una sua linea melodica tutt’altro che disprezzabile. Finito. Che dire di questo “Mangiasabbia” dopo che c’è chi ha parlato di “aria fresca…”? Annuisco. Come quando esco da un’esposizione di arte contempoeanea dopo aver colto la voce di un critico che dice meraviglie delle opere esposte. Vengo da una generazione in cui si insegnava che l’arte, per essere arte davvero, deve arrivare al cuore ed alla mente, deve fare riflettere, deve lasciare una traccia tanta è la forza del messaggio che attraverso le sue espressioni ti lascia. Provo a soffermarmi qualche istante. Finito.