Roberto Michelangelo Giordi è un cantaure di origini napoletane che da alcuni anni si è trasferito a Parigi. Ha al suo attivo quattro album che hanno incontrato il consenso anche tra gli appassionati di canzoni d’autore d’oltralpe. E la freqeuntazione di ambienti musicali a dimensione europea, ha affinato il suo gusto artistico e le sue conoscenze, sino a farne un attento osservatore di realtà emergenti. Giordi si è diplomato al CET di Mogol nel 1999 partecipando poi ai tour internazionale “Voci e chitarre” con Mario Lavezzi.
In quest’epoca storica, la crisi che vive la musica, e l’arte in genere, è la medesima che vivono le istituzioni e le democrazie occidentali. C’è sempre stato un rapporto imprescindibile tra arte e potere: il potere ha sempre stimolato l’arte, e se il potere fa schifo, l’arte (almeno quella che il potere si sceglie come modello di espressione) fa schifo. Quando il potere fugge le virtù, l’arte non riesce più a svolgere il proprio compito: elevare gli uomini al di sopra del convenzionale, aprendo squarci sulla trascendenza. Allora, il primo quesito che dobbiamo porci è il seguente: qual è la linea di potere dominante oggi in Italia e nel mondo? Io direi quella della globalizzazione, un potere che vuole l’omologazione delle masse e avvilisce le radici culturali e la vitalità incarnata dei popoli del mondo. E non è più soltanto un problema di consumismo. Siamo a un gradino ancora più infimo: il potere vuole per tutti le stesse cose. Persino i sogni devono essere gli stessi per tutti! Un mondo sempre più globalizzato non può che produrre musica scadente. La musica oggi è ridotta a un banale tappeto sonoro che serve ad accompagnare la quotidianità delle nostre vite. La banalità di questo conformismo emerge tanto nella forma quanto nel contenuto. In qualunque pezzo di musica trap (volendo prendere un esempio della contemporaneità) ci sono soltanto tre elementi costitutivi: un tappeto sonoro elettronico (più o meno lo stesso a New York come a Torino), una lingua sempre più violentata, un contenuto letterario intriso di luoghi comuni (riscatto sociale, sesso, violenza, soldi). Ecco, i valori della musica e della poesia sono del tutto assenti. Ma perché il potere accetta di veicolare questi contenuti vuoti? Perché al potere fa comodo, questo è chiaro! Perché il potere si fregia di quel nichilismo che è alla base della sua stessa identità. Con la diffusione di internet poi, sul finire degli anni ’90, la musica è andata via via perdendo il suo genuino spazio vitale: le città sono diventate sempre più orfane di sale concerti e teatri, le scuole di musica e i conservatori sempre più rari. Molti giovani hanno sviluppato la convinzione che si possa fare musica senza aver studiato – basta andare in Tv e il gioco è fatto! Io credo, tuttavia, che senza un’umanità incarnata, senza etica ed estetica, senza studio e cultura, nessuna forma artistica sia possibile. Auguriamoci che questa transizione digitale, di cui si comincia a parlare anche in Italia, finisca per essere divorata dalle sue stesse fauci. Auguriamoci che si possa tornare alla condivisione degli spazi reali, e soprattutto a una visione pluralistica del mondo. Se i Beatles hanno realizzato degli album bellissimi è perché hanno attinto dalla diversità, hanno viaggiato alla scoperta della musica popolare dell’India, tornando al loro mondo arricchiti e più consapevoli. Se i musicisti francesi hanno dipinto attraverso i tocchi del pianoforte gli arabesques, o anche esaltato il sole dell’Andalusia nella maestosità delle note pompate dagli ottoni orchestrali, è perché hanno avuto il coraggio di sognarlo. Se i grandi cantautori del passato hanno saputo accendere la nostra passione sociale è perché leggevano i grandi poeti. Non possiamo più accontentarci dalla narrazione voluta dal neoliberismo. Non possiamo sognare un futuro sullo sfondo di questa evanescente prospettiva. La musica è sempre rispetto, cultura e soprattutto bellezza.
Roberto Michelangelo Giordi