E’ di questi giorni la pubblicazione dell’album “Strane visioni di giorni normali part.1”, dieci tracce degli Organica, formazione della quale fanno parte Alessandro Pisacano (testi, voce e chitarra) e Attilio Scala (bassista e polistrumentista). un duo di musicisti che esordì 13 anni or sono e che con quello appena presentato ha al suo attivo due album ed un discreto numero di singoli e di video.
Sinceramente in questo ultimo lavoro le perplessità superano di gran lunga il compiacimento. E poichè si parla di “parte 1” il che lascia presagire che ci sarà anche una “parte 2”, le perplessità si moltiplicano ulteriormente. Credo che a molti della mia generazione, per intenderci quelli che hanno visto le icone del rock nascere e crescere in quei luoghi mitici che sono Woodstock e l’Isola di Wight, incuriosirebbe molto approfondire uno studio per cercare di comprendere come le generazioni di questi anni percepiscono il rock. E soprattutto, che ne sanno delle sue origini. Ancora una volta. ascoltando gli Organica, si va alla disperata ricerca di una cifra artistica reale che in qualche modo rechi un segno distintivo tra “quel” rock e questo. Ed anche questa volta la ricerca è vana. I volumi sono indiscutibilmente alti, i toni esasperati, i testi addirittura in italiano, ma potrebbero essere in qualunque lingua del mondo perchè in quasi tutti i brani vengono soverchiati e travolti da sonorità sempre eccessive, sempre sopra le righe. Ma, soprattutto, sempre prive di originalità. Per dirla tutta, solo in Italia ci sono centinaia di band che suonano come gli Organica con la convinzione di fare rock. In “Vulnerabile” si sfiora il metal, soprattutto per la voce rabbiosa, ma tutto sommato debole, di Alessandro. Quella degli Organica è una dimensione musicale che forse può trovare una sua maggiore gratificazione nel live, in quei contesti in cui la birra scorre a fiumi ed alla fine non si sa se si è più sconvolti per la musica o per l’alcol. Io non vorrei sembrare ingiustamente ipercritico nei confronti di ragazzi che certamente ci mettono passione e convinzione, ma se non si lascia un traccia, un cenno, un qualcosa che renda riconoscibili, che faccia ricordare, inesorabilmente si finisce nel calderone del già sentito e del già visto. E qui il rischio è proprio quello. Di brani come quelli contenuti in questo album, ne ho ascoltati a decine, forse a centinaia, in questi ultimi anni, ma non ricordo che una sola di quelle band sia riuscita ad emergere. Ce l’hanno fatta i Maneskin, ma si capiva sin dalle prime incisioni che lì covava qualcosa di diverso, magari non sempre all’insegna della qualità, ma certamente sull’onda di una sempre più convincete personalità. Che in questi Organica non riesco a trovare.