Riccardo Rinaldi si avvicina al mondo della musica sul finire degli anni ’70 con la nascita del movimento New wave. Negli anni ‘80 entra di prepotenza nella scena musicale di Bologna collaborando con molteplici artisti e bands in veste di musicista/produttore/tecnico del suono. Con gli anni ’90 prende lo pseudonimo di Ohm Guru ed inizia a produrre con questo nome album omonimi e artisti come Neffa, Sud Sound System, Colle Der Fomento, Bossa Nostra, Gazzarra, Pasta Boys, DJ Rodriguez, Black Mighty Orchestra, Clan Greco e diventa un collaboratore fisso della IRMA records. Con il gruppo di cui è membro, Aeroplanitaliani, insieme a Alessio Bertallot e Roberto Vernetti, partecipa anche ad un Festival di Sanremo dove vince un premio della critica con il brano Zitti, Zitti. Nel 2002 fonda insieme a Ninfa una sua compagnia a nome One Eyed Fish che si occupa di produzioni, publishing, mastering e management. L’etichetta, discograficamente resta affiliata a IRMA records.
Sono un produttore “senior”. A Bologna diciamo “vez”, ma la realtà è che ho iniziato negli anni 80 facendo caffe’ e vuotando i cestini nello studio di Mauro Malavasi, mentre registrava Dalla, Morandi e altri. Produrre musica è il mio lavoro, la mia passione, e quindi la domanda ”Quale futuro per la musica?”, mi mette un bel po’ in crisi. Da una parte c’è il mio lato romantico e artistico dove tutti i buoni propositi diventano una realtà. Dall’altra c’è Riccardo, imprenditore di sè stesso che purtroppo deve fare un’analisi ben più cupa. Se avevate dei dubbi, un anno di Covid ha messo a nudo le criticità di un sistema già in crisi, almeno dal 2010, se non prima. La totale mancanza di coesione e associazionismo tra chi fa della musica un lavoro ( e ci metto tutti, artisti, fonici, produttori, piccole etichette discografiche, operatori dello spettacolo) ci ha portati, oggi, a guardare con occhi diversi il futuro della musica e di chi di musica vive. Non esiste che non vi sia un sindacato che segua e protegga il nostro già fragile lavoro. Il non sapere “fare squadra”, il modo tutto italiano di giocare ognuno nel proprio giardino, ci lascia, oggi nel 2021, incapaci di dialogare con le istituzioni che della cultura dovrebbero avere un rispetto maggiore. E sì, perche la musica è cultura. Ogni attività legata alla cultura fa crescere l’attenzione e l’affezione per la cultura stessa. Ed è qui, guardando come una chiromante nel futuro, che vedo molto nero il domani della musica. Una generazione digitale ha perso completamente il senso del valore della musica. La musica non si paga, la musica deve essere disponibile sempre e gratis. Chiedere a uno che paga un margarita 9 euro di spendere altrettanto per un “abbonamento” per ascoltare la nostra musica è di sicuro un suicidio. E non è un problema economico, è un problema di cultura. Ed è colpa nostra. Di chi non ha saputo dialogare con discografici ed istituzioni, con la grande illusione che tutto sarebbe rimasto uguale. E’ colpa dei grandi artisti italiani che non hanno mai mosso un dito per creare un sindacato ed è colpa dei piccoli artisti, magari mai andati in classifica, che però ci vivono della lora musica, di non esserci associati quando sarebbe servito. Il futuro lo vedo cosi, ognuno a giocare nel proprio giardino, come non fosse successo nulla, e senza avere imparato nulla. Già perché, se accendiamo la radio in questo preciso momento, la musica è ancora lì, mille cantanti ci diranno che la vita è bella; se accendiamo Spotify le canzoni che amiamo sono ancora lì, che ci dicono che il mondo della musica è un mondo dorato e di sogni. Nessuno sa come funziona questo lavoro se non chi fa questo lavoro. La musica andrà avanti, non si fermerà mai. Siamo noi, che la musica la facciamo, che diventeremo più acidi e pessimisti. E racconteremo bugie sul mondo dorato in cui lavoriamo, sui tour, sulla vita in studio e sui dischi d’oro perché non sappiamo accettare le nostre colpe e i nostri limiti. Che grande peccato.