LA MUSICA NON E’ NOSTALGIA MA “SENTIRE” COSTANTE

Alessia Arena

Alessia Arena, cantattrice, performer, autrice, è un personaggio poliedrico che calca le scene con la disinvoltura e l’intensità che scandiscono la sua musica e la sua intensità interpretativa.

 

Non mi sono mai trovata in linea con i nostalgici dei tempi che furono, quelli dal sapore “Ah! quando c’era la “vera” musica…(ecc.)…”

Come ormai da tempo la filosofia orientale ha insegnato al nostro occidente si vive nel Qui e Ora, ed ignorare l’oggi o, ancor peggio, valutarlo fondando una critica su un gioco di compensazione ai “fasti d’oro di un tempo che fu” può essere fuorviante.

La musica vive, così come l’esistenza umana, in un processo ciclico di: scintilla-creazione, sviluppo, rottura col sistema, o morte se dir si vuole ancora rimandare nel nostro concepire agli influssi orientali, ed infine nuova rigenerazione. E i processi rigenerativi della musica, così come quelli dell’uomo in ogni sua sfera, sono infiniti. Immaginiamoci dunque numerose circonferenze, una tangente all’altra, e nel punto tangente il momento di scambio, unico elemento questo variabile nello sviluppo della storia della musica. Un po’ come per un trenino giocattolo che, giunto a meta, torna indietro e al momento del punto di scambio si trova davanti a più direzioni possibili. In questa ottica circolare la musica dunque non finisce, ma si rigenera nel tempo e col tempo, con molte combinazioni di cammini possibili.

Se mi soffermo sulla musica italiana e sul suo rigenerarsi nei secoli il rapporto competitivo tra la scrittura musicale e la parola è stato certamente uno degli elementi caratterizzanti.

Di fronte al grande cantautorato degli anni settanta e ottanta che affondava, forse a sua insaputa, le sue radici con forza nel recitar cantando di Monteverdi, oggi si avverte, dopo una transizione nel pop piegato alla dittatura del minutaggio e dei click in cuffia da incisione, un ritorno alla parola in musica quale mezzo di denuncia dei disagi sociali odierni. Non siamo spesso di fronte a poeti, intellettuali, ma a giovani ragazzi, figli di per la maggior parte di talent show, che non fanno della ricerca musicale un principio guida, ma che vivono nella nostra società di oggi, più complessa di ieri, affermando in poche barre il loro stare nelle proprie battaglie sociali in atto, siano essere per l’uguaglianza di genere o per denunciare un sistema scolastico deficitario.

Vado al di là del mio personale sentire, in cui poeti e cantautori come De André, Ferré, Ciampi, Guccini, Endrigo (e ne cito solo alcuni), e una artista impareggiabile come Milva, mi hanno formato all’ascolto, e mi domando se i nostalgici siano davvero così sicuri che ciò che i giovani artisti scrivono oggi sia così deprecabile.

I canti popolari, repertorio un tempo non così apprezzato come oggi, se non avessero avuto nel 1966 Dario Fò a dargli voce con Ci ragiono e canto e più recentemente Riccardo Tesi con la sua ripresa cinquant’anni dopo di Bella Ciao, sarebbero giunti ad un pubblico più vasto?

La denuncia dei canti di ieri, contro un sistema di sfruttamento lavorativo o contro un sistema politico centralizzato di controllo, è più nobile delle denunce di oggi poste in delle semplici barre, posto che siano scritte bene?

La musica non si può scindere dal sistema sociale-culturale in cui prende voce.

Siamo di fronte a giovani, a cui personalmente non mi sento di dare la denominazione di cantautori, spesso estrapolati dal loro contesto per diventare prodotti discografici, ma sono giovani che vivono nel loro tempo, e con sano coraggio esprimono le loro opinioni su temi sociali importanti che attraversano le loro vite comunicando con un vasto pubblico di loro coetanei. In fondo i cantautori di un tempo credo che raccontassero la vita per quelli che non sapevano tradurla a se stessi, e così questi giovani di oggi condividono attraverso la musica i disagi e le sofferenze propri della loro generazione. E qui, se volessimo, si potrebbe ragionare sul concetto di consapevolezza della scrittura di un testo, riaffacciandoci sul mondo dell’oriente e del suo approccio alla pratica di un talento.

Allora domando ai nostalgici: la musica non dovrebbe arrivare a tutti? Bene! Questa musica arriva a tutti, parla ai più, anche a me che non trovo in essa poesia, e anzi il più delle volte frasi stereotipate.

Ma tutto è ciclico e tornerà il tempo in cui la musica riprenderà il suo dominio sulla parola, andando su nuovi fronti di ricerca, e così discorrendo arriverà di nuovo il momento in cui la poesia riprenderà il proprio posto per poi perderlo nuovamente. La musica non è finita! Ed io aspetto che il trenino, al punto di scambio, scelga il ritorno alla poesia in canzone, ma questo è il mio sentire. (Foto di Alessandro Ziantoni)

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