La musica non è il contorno della politica

La strumentalizzazione della musica non ci piace. In nessuna forma. Neppure quando passa attraverso quel carrozzone di cui parliamo il meno possibile, ma la cui esistenza non può essere ignorata, quanto meno come fatto di costume, che è il festival di Sanremo.

E quest’anno, la rassegna della città dei fiori, affidata nuovamente alla conduzione di Fabio Fazio, sembra partire con presupposti poco rassicuranti. Intanto va detto che il personaggio è un falso simpatico che alla sua precedente esperienza sanremese non si degnò mai di salire in sala stampa, facendo dire che stava lavorando e che il suo mezzo di comunicazione era esclusivamente ciò che sarebbe avvenuto nel corso della serata. Per quest’anno già si annunciano presenze come quella di Saviano, dell’immancabile Luciana Littizzetto e chissà di quali altri commentatori, più o meno politicamente impegnati, come spesso lo sono gli ospiti di “Che tempo che fa”, la trasmissione che Fazio conduce settimanalmente per le reti Rai. Un’impostazione di questo genere rischia di fare diventare le canzoni, ad una rassegna dedicata alla canzone italiana, un semplice contorno, un qualcosa di semiserio da affiancare ad argomentazioni serissime. E questo, se si parla di musica e di una manifestazione musicale, non ci sta bene. Perchè la sensazione è che la musica e gli artisti vengano utilizzati per mantenere viva una programmazione che, nonostante tutto, vanta ogni anno audience da record, ma che l’obiettivo vero sia quello di fare passare messaggi che con la musica poco o nulla hanno da spartire. E quindi una riflessione s’impone: se trasmissioni televisive apertamente dedicate ai commenti politici o agli approfondimenti sulla crisi economica contano tra i 300mila ed i 3 milioni di spettatori di media (a seconda dei programmi, della fascia oraria, di chi li conduce) ed il festival di Sanremo ha un’audience che oscilla tra i 7 ed i 10 milioni di spettatori, qualcosa vorrà pur dire. Forse che l’Italia è un po’ irresponsabile, forse che gli italiani continuano ad essere quelli degli spaghetti e del mandolino e tutto sommato delle tematiche politiche, sociali ed economiche gliene frega poco, forse che l’ignoranza continua ad avere il sopravvento sulla consapevolezza. Ma è un fatto che l’imporre la politica e la ragion di Stato (ed anche quella di chi nello Stato ci crede poco) in un contenitore di canzoni che la gente segue per commentare il brano di questo o quel cantante, l’abito di questa o quella valletta, il lifting di questa o quell’ospite, è semplicemente violenza. Subdola violenza perchè non picchia, non insulta, non inveisce, ma s’insinua tra una canzone e l’altra e cerca di trascinare anche su quel palcoscenico tematiche ed argomentazioni che con la musica non c’entrano. E cerca di farlo in modo tale che la gente lo percepisca appena, ma non ne abbia piena coscienza. Fazio in questo è maestro. Ordunque sarà pur vero che il festival di Sanremo non è più da tempo la rassegna della canzone italiana, ma se qualche dibattito o qualche provocazione in quella sede devono trovare spazi a ragion veduta, siano dibattiti e provocazioni sulla musica, sulla crisi della creatività, sulle major e sulle case discografiche indipendenti, sul rapporto tra fruitori di musica e mercato, sia esso quello dei negozi sia quello in rete, sul diritto d’autore e le pessime acque in cui naviga la Siae. Le tematiche non mancherebbero e non si avrebbe la brutta sensazione dell’uso improprio della musica e di uno spazio musicale per raggiungere altri obiettivi, raggirando i telespettatori.

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