LA MESQUIA SALE IN CATTEDRA A FOLKEST

La Mesquia, formazione che ha vinto recentissimamente l’ultima edizione di Folkest, ha radici piemontesi ed è uno dei più importanti gruppi di ricerca e reinterpretazione della musica tradizionale. Li abbiamo incontrati pochi giorni dopo la vittoria.

Quanto rilievo acquisisce oggi, nel rapporto con le nuove generazioni, la riproposizione della musica tradizionale ed in che misura questa definisce la territorialità di un’espressione popolare oltre che artistica?

La riproposizione della musica tradizionale coinvolge se incontra favore nelle nuove generazioni con una musica attualizzata e viva, in linea con i tempi. Non si può pensare che la musica tradizionale sia riferita al passato e bloccata fine a se stessa, sarebbe un bagaglio chiuso in un armadio. La musica di un qualsiasi territorio è espressione di cultura, attuata con ritmi, strumenti, sonorità caratteristiche di quel territorio, molte volte legata al ballo, condizionata da  consuetudini, spazi, possibilità temporali. Nelle vallate alpine, ad esempio,  si ballava in inverno, in spazi ristretti, con poche coppie che si alternavano, mentre in Provenza si potevano fare danze in spazi aperti, con molte coppie, quindi musiche e strumenti tipologicamente diversi.

In sintesi, come avviene la “ricostruzione” di un brano, partendo dalla ricerca iniziale sino all’approdo al “prodotto finito”?

I brani che costituiscono il repertorio del gruppo sono tutti di nostra composizione. I testi li scrivo io (Remo Degiovanni), come quasi tutte le musiche, gli arrangiamenti sono figli de “La Mesquia”. Essendo consistente la distanza anagrafica fra me e gli altri componenti del gruppo, i ricordi di eventi, di storie, di personaggi, di paesaggi, di avvenimenti e di vita vissuta, per me sono diretti. Sono nato e cresciuto in un esercizio pubblico di un piccolo paese di una valle alpina del cuneese (Valle Stura), acquisendo  direttamente quelle conoscenze di fatti, condizioni, racconti e di vita, che oggi sono storia. Quindi per me la ricerca di un contenuto di un brano, è quasi esclusivamente un tuffo della  memoria nel passato, dalle atrocità della I e II guerra mondiale raccontate da chi ha avuto la fortuna di tornare, ad avvenimenti più recenti e considerazioni più allegre e poetiche. La musica di un brano nasce generalmente come frammento, che si presenta nella mente legato a stato d’animo, condizione, sentimento o casualità e poi lavorandoci sopra, si sviluppa. Gli arrangiamenti, come detto, sono frutto di un lavoro collettivo.

Voi operate spesso nell’area della musica occitana. Perché per tanta parte del Piemonte la tradizione occitana riveste significati così profondi?

Il nostro gruppo si chiama “La Mesquia”, che  significa mescolanza di provenienza, di esperienze, di genere, di età, di strumenti, di suoni e ci occupiamo di musica occitana, innovativa, ma che fa parte della nostra cultura.La cultura occitana ha un patrimonio molto significativo, ha radici millenarie ed a livello europeo interessa una delle più grandi popolazioni.  Oggi desta particolare interesse, guidata da quella musica di “radici”, che coinvolge e travalica le barriere per diffondersi in nuove aree.

Come ci si accosta oggi a strumenti antichi, come nel caso della ghironda, della quale stiamo apprezzando da alcuni anni una riscoperta che talvolta esula dalla dimensione della musica popolare?

Nel territorio occitano, la ghironda ( da noi “Viula”) è stato ed è uno strumento conosciuto ed utilizzato, che nel tempo ha seguito un’evoluzione tecnologica importante. Il suono, i materiali che la compongono, il funzionamento e la possibilità di eseguire contemporaneamente melodia e ritmica, ne fanno uno strumento di notevole interesse. Alla passione deve corrispondere la consapevolezza che è uno strumento da “curare” per ottenere la corretta armonia, ma la risposta è una carica emotiva che ti spinge sempre. Ormai sul territorio sono parecchi gli insegnanti di ghironda e molte le persone interessate all’apprendimento. Oggi, qualche appassionato la utilizza, magari con tipologie elettroacustiche o elettriche che possono suonare in tutte le tonalità, anche in altri generi musicali, ma nella musica popolare, il suono caratteristico della ghironda rimane quello dello strumento antico, acustico.

Il successo a Folkest rappresenta anche una significativa affermazione di un’appartenenza territoriale non così frequentemente gratificata da riconoscimenti in ambito nazionale. Può essere considerato l’inizio di un percorso nuovo?

Noi ci auguriamo che sia l’inizio di un nuovo percorso, in quanto oggi la musica tradizionale nel nostro territorio è intesa, per molti, fortemente legata alla danza. Speriamo che il nostro lavoro (insieme ad altri simili) possano aprire una porta per la diffusione di una musica occitana nuova, che trova anche espressione nel canto, e la possibilità di essere apprezzata con l’ascolto, come avviene ad esempio nella vicina Francia.

Quali i vostri progetti nei mesi che verranno ed in quale direzione si muoveranno le vostre prossime ricerche?

Dopo la pubblicazione del CD “Podre”, abbiamo deciso di continuare sulla stessa strada. Eseguito un buon numero di nuove ricerche, composto le relative musiche, ora lavoriamo per definire gli arrangiamenti su un numero di brani sufficienti per registrare un nuovo CD.Gli argomenti considerati sono ancora per la maggior parte legati all’amore, alla vita, alla cultura, a personaggi della nostra area, ma non mancano temi generali e attuali (come la prepotenza verso le donne, la crisi del lavoro, ecc.)

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