Il sexy-Sanremo di “Non lo faccio più”

Oggi parliamo di un’edizione del festival di Sanremo che, analizzata con gli elementi odierni, è  degna di ricordo e di menzione, visto ciò che essa ha rappresentato a livello culturale, nel panorama della musica italiana degli ultimi 40 anni.

 

Il 1976 fu l’ultimo anno del Festival di Sanremo al Casinò municipale: dall’anno successivo si trasferì al Teatro Ariston. Fu anche l’ultimo anno che venne trasmesso dalla Rai in bianco e nero. Visto che l’edizione del 1975 aveva visto un crollo degli  ascolti, si pensò di introdurre alcune novità: il conduttore, Giancarlo Guardabassi, non salì mai sul palco, ma rimase seduto ad un tavolo, approntato come uno studio radiofonico, con il chiaro effetto di voler emulare il fenomeno delle radio “libere” che in quegli anni imperversava. Altra novità di quell’anno fu l’assenza dell’orchestra in sala e l’uso del playback per tutti i cantanti, inoltre tutta l’edizione venne sottotitolata in castigliano, visto che una tv sudamericana ne acquistò i diritti per trasmettere l’evento in quel continente. Al di là ed oltre alle novità sceniche ed organizzative, quell’edizione rappresentò una vera svolta per il fenomeno di costume che vi si accompagnò. Nel 1975 vi era stata la riforma del diritto di famiglia, che aveva, tra l’altro, sancito la fine del patriarcato legale. Questa revisione giuridica era divenuta inevitabile a seguito dell’avvenuta emanazione della legge Fortuna-Baslini, successiva al referendum del 1974. Il mondo stava cambiando, e l’Italia (molto meno immobile di adesso) si stava adattando, dimostrando di voler entrare a pieno titolo nell’occidente moderno. La musica è da sempre cultura ed espressione di costume, allora diventa divertente ed interessante analizzare i testi di alcune canzoni di quell’anno, per capire cosa stesse succedendo in Italia in quel periodo. La sessualità, la libertà di espressione, l’emancipazione della figura femminile sembrano pervadere completamente i testi di quell’anno. Alcuni esempi: a cominciare dalla canzone vincitrice di Depsa, Iodice e Berlincioni, cantata da Peppino di Capri, che parlava di uno strip-tease eseguito da una giovane ragazza nell’intimità col suo compagno: “E lo scialle della mamma, guarda un po’ che fine fa, forse lei te lo ha prestato, forse invece non lo sa… una perla di sudore, tu mi stringi sempre più, poi mi dici inutilmente, giuro, non lo faccio più”. La  seconda classificata di Minellono, Lubiak e Balsamo, cantata da Wess & Dori Gìhezzi, aveva un titolo programmatico: “Come stai, con chi sei”. La terza: di Pace, Avogadro, Giacobbe, Pallavicini  e  Cutugno dal titolo “Gli occhi di tua madre” della quale  riporto una frase sola: “Mi hanno fatto innamorare gli occhi verdi di tua madre, il sorriso di un tramonto dove ci si può specchiare… i tuoi passi all’improvviso, ed un tuffo al cuore immenso… se ci penso”. La quarta classificata: cantata da Paolo Frescura, di Frescura e De Santis, dal titolo “Due Anelli” parla di un matrimonio riparatore, fatto per amore, in contrapposizione alla nascita della mentalità abortista del periodo. La quinta: di Albertelli e Ricciardi, cantata da Drupi ed intitolata “Sambariò”, anche qui una estratto significativo: “Oggi divido con te quello che ho…un misto di donna e bambina…E le tue scarpe buttale via, io la camicia la butto via”. Si potrebbe andare avanti, ma  chi di voi ha voglia di andarsi a vedere, magari su Youtube, tutte le altre canzoni, scoprirà che quasi tutti i testi fanno riferimenti espliciti a situazioni che fino all’anno prima sarebbero state ritenute scabrose e censurabili. Ricordo quell’anno con nostalgia, anche perché fu l’unico momento di vera emancipazione del costume in senso positivo e propositivo. Di lì a qualche tempo, la volgarità avrebbe cominciato a prevalere sulla poesia. Più che mai risulta quindi essere azzeccato il titolo della canzone principe “Non lo faccio più”.

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