Ma che cos’è il rock oggi? O meglio, che cos’è diventato? Le sue origini risalgono ad oltre mezzo secolo fa; si chiamava rock and roll ed in quegli anni era uno stile musicale che giungeva a rompere gli schemi di un certo modo di concepire la musica. Al bando certe etichette, certe ipocrisie, un certo modo di pensare e di esporre il pensiero. Dalla metà degli anni Cinquanta i ritmi di Bill Haley, la voce inconfondibile e profonda coniugata con un’epocale bellezza di Elvis Presley e, in Italia, i contorsionismi celentaneschi imposero un genere che pareva fatto per i giovani di quegli anni ed anche per i giovani delle generazioni che sarebbero venute. Si perché il rock, contrariamente a tutti gli altri generi musicali, si è evoluto ininterrottamente nel tempo. E così è stato rock quello dei Rolling Stones che conquistarono le scene internazionali dagli anni Sessanta, è stato figlio del rock quell’underground che fu colonna sonora di un certo disagio giovanile e delle tensioni degli anni Settanta e che affiancò un’espressione musicalmente più raffinata come lo fu quella di gruppi come i Led Zeppelin o di mostri sacri come Jimi Hendrix, Janis Joplin, Joe Cocker e tanti altri (i grandi protagonisti dell’evento musicale di tutti i tempi che fu Woodstock). E’ stato un rock più diluito quello dei Duran Duran e degli Spandau Ballet che scandì soprattutto gli anni Ottanta e via via, sino ad arrivare ai Police, a Bruce Springsteen e in tempi più recenti agli U2 ed ai grandi esponenti di questi anni, nei quali però il termine “rock” ha finito sempre più con il farsi carico di espressioni musicali più estese e meno affini. Oggi spesso il rock è pop ed il pop è rock. Ed i momenti di contaminazione sono sempre più frequenti, tanto che l’indebolimento di un’identità forte, sta contribuendo a favorire lo svilupparsi di una generazione di band, genericamente definite rock-band, che senza troppi indugi attingono qua e là spaziando dal blues al pop, sfiorando il metal, rispolverando un po’ di underground ed avventurandosi, talvolta malauguratamente, sui gradini imperrvi dell’epic rock, che a sua volta strizza l’occhio a taluni grandi respiri propri di certa musica classica. Il risultato? Valanghe di band che si riversano a festival, rassegne, concerti all’aperto ed al chiuso, producono demo e cd, si formano e si sciolgono con inquietante disinvoltura, rivelando spesso la totale assenza di un progetto artistico. Il tutto con l’avallo complice di trasmissioni radiofoniche, concorsi, rassegne spacciate come opportunità impedibili e, in realtà, quasi sempre tristi maneggi lucrativi ai quali si prestano sconosciuti ed oscuri personaggi, ma anche figuri dall’incerto successo a caccia di facili “gettoni” in cambio del prestito dei loro nomi, con l’obiettivo di impreziosire giurie afflitte, nella migliore delle ipotesi, da inquietanti stati confusionali. Siamo in una fase di grave carenza creativa ed il rock non poteva non risentirne così come ne risente tutto il comparto musicale, qualsivoglia sia il genere al quale ci rivolgiamo. Il problema è però rappresentato dal fatto che quella rock è la musica dei giovani per eccellenza. Ed è difficile parlare di educazione alla musica se ad alimentare un mercato confuso e con poche idee, anziché l’onestà intellettuale propria delle menti più fresche, è quella ormai perenne fiera delle illusioni che, incapace di programmare, fa della musica una grande slot machine dalla quale non esce quasi mai nulla, ma se per caso si azzecca un colpo, c’è anche la possibilità di arricchirsi.