Nel variegato mondo cantautorale italiano di area indipendente, la friulana Elsa Martin si colloca nella inconsueta e contemporanea veste di custode delle emozioni della sua terra e raffinata interprete di brani, la cui composizione è spesso condivisa con altri musicisti, autori, poeti. E’ il caso di “>ErsO”, album di recente pubblicazione, colmo di suggestioni ed in perfetto equilibrio tra le origini vissute come un patrimonio da trasmettere a chi ascolta attraverso i brani nel dialetto (o la lingua) del suo Friuli e la destinazione di un lavoro di ricerca musicale e stilistica che esula dalla semplice territorialità per toccare corde ben più elevate.
Elsa Martin ha una voce bellissima, che sa modulare con delicata determinazione. La usa sapientemente, assecondando le emozioni che si celano dietro ad un verso, ad un accordo, ad una parola. L’ascolto scorre piacevole. E non importa se per i non friulani è necessaria la lettura delle traduzioni accluse, anche perchè ad entrare in quell’atmosfera, non a caso, contribuiscono alcuni brani brevi, tratti da canti tradizionali che sanno di terra, di campi e di storie antiche, affidati alle bellissime voci del Trio di Givigliana. Eppoi ci sono le canzoni in lingua italiana, da “Come un aquilone” a “Calda sera” o “Neve”, ove ci si imbatte in versi come “Ieri non finisce, non passa se appassisce, non crede nell’autunno, scorre sulla storia, si bagna di memoria di te che resti favola e arcolaio…..” (il testo è di Paolo Fiorucci, la canzone è “Calda sera”) che assumono una dimensione poetica a sé stante. Dal punto di vista prettamente musicale, “O staimi atenz”, brano tradizionale che si avvale di uno straordinario arrangiamento di Marco Bianchi, raggiunge vette elevate, mentre “Dentrifûr” e “La Lus” (la prima con testo di Stefano Montello e testo di Elsa Martin; la seconda con musiche di Elsa Martin e Marco Bianchi e testo della stessa Martin) sono forse le due canzoni più belle dell’album per l’intensità interpretativa di Elsa (in “La lûs” coadiuvata anche dal coro di bambini di Betania). Si approda all’ultimo brano senza accorgersi del tempo che è passato e con la voglia di andare a ricercare quel passaggio, quella frase, quel dettaglio che, talvolta piccolo, apparentemente insignificante, può invece essere la chiave dell’intensità emotiva di un brano. E per chi scrive e canta canzoni, il primo ascolto può rappresentare la ricerca di un riscontro al proprio lavoro; ma il secondo è la conferma che quanto è stato scritto e cantato, ha raggiunto il proprio scopo.