GIORDI, DALL’INFERNO DI PARIGI

Roberto Michelangelo Giordi è un cantautore italiano che vanta una buona notorietà, molti apprezzamenti ed una consolidata attività musicale. In questi giorni si trovava a Parigi per un concerto ed ha vissuto le ore drammatiche delle esplosioni terroristiche che hanno sconvolto la capitale francese, Lo abbiamo raggiunto mentre ancora l’eco di quella recentissima esperienza affolla la sua mente e quella delle persone che hannp vissuto da vicino quella tragedia.

 

    Roberto, parlaci del concerto e delle circostanze che ti hanno portato a ritrovarti a Parigi proprio in queste giornate tragiche e convulse.

    Sono a Parigi da un po’ di tempo per registrare delle nuove canzoni e andando di sera in giro per teatri ho avuto la fortuna di incontrare il direttore artistico dell’Ogresse Theatre il quale mi ha proposto un concerto insieme al pianista Ronnie Lynn Patterson. Parigi a differenza delle altre capitali europee sa sempre come stupirti.

     

     

    Come hai vissuto quei momenti, quei fatti così violenti e vicini a te?

    In maniera del tutto irrazionale e con enorme paura. Trovarsi nella zona dove sono avvenuti i fatti, sentire il continuo viavai delle sirene della polizia e avvertire il clima esasperato della città è stata un’esperienza che non dimenticherò facilmente. Fortunatamente ero a casa di Ronnie per le prove del concerto e quindi al riparo. Difficile però è stato il rientro a casa. Ho dovuto per forza maggiore raggiungere il metrò e prendere un treno; fortunatamente alcune linee erano funzionanti. Nessun taxi libero considerato lo stato d’emergenza, e nessuna automobile che si sia fermata per darmi un passaggio. La cosa che però più mi inquietava erano le telefonate e i messaggi che continuavano ad arrivarmi dall’Italia da parte di amici e parenti i quali mi dipingevano una situazione ancora più disastrosa di quella che riuscivo a vedere lì personalmente con i miei occhi. È anche vero che gli italiani vivono le tragedie in maniera più teatrale soprattutto quando mediate dalla televisione. Fortunatamente sul treno mi sono avvicinato a due ragazzi francesi. Il loro savoir-faire, la loro pacatezza e gentilezza, mi hanno in parte tranquillizzato. Credo che ricorderò per sempre e sarò per sempre grato al sorriso della ragazza e all’accento canterino della sua voce.

    Ciò che è accaduto avrà qualche effetto sul tuo concerto? Pensi di cambiare qualcosa di quanto comunicherai con musica e parole sul palco?

    Spero che le persone riescano presto a superare questo drammatico momento e a vincere la paura. La deriva oscurantista deve essere necessariamente combattuta. La città sta già dimostrando di saperlo fare ed è per questo che credo di non aver problemi di pubblico. A Parigi, a differenza di altre città europee, la gente si piange meno addosso.

    Più genericamente, che ruolo pensi possa avere la musica in particolare, ma anche l’arte e la cultura in generale, di fronte a questa sorta di intossicazione dovuta a ideologie, consumismo, indifferenza, sopraffazione e tutto ciò di negativo che la/le culture odierne portano con sé?

    Io penso che la musica, quella bella, sia uno dei beni più preziosi che abbiamo. Senza la bellezza il mondo sprofonderebbe completamente negli abissi. Il terrore seminato a Parigi ha scosso tutti ma bisogna trovare la forza per reagire e interrogarsi sulle possibilità che abbiamo per cambiare lo status-quo. Io credo che il primo nemico da combattere sia il dominio globale e totalizzante del potere finanziario che tende ad escludere le forme pure di soggettività e a rendere l’uomo simile a un automa non più in grado di pensare, sentire e provare emozioni che non siano preconfezionate e servite a tavolino. Senza la soggettività non c’è pensiero, non c’è morale, non c’è bellezza.

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