SECCO, FUNAMBOLO DI VOCE E PAROLE

E’ Gianluca Secco un personaggio curioso che potremmo definire un funambolo della parola e della voce. Il suo esordio discografico, un album intitolato “Immobile”, ne è la dimostrazione. Il suo curriculum, fatto di narrativa e poesia, ne è la conferma. “Immobile” è un cd che contiene dieci tracce che a voler definire originali si corre il rischio di risultare riduttivi. In quei brani, che è difficile definire “canzoni”, si trova di tutto.

 

 

Dal punto di vista tecnico, come lo stesso autore ed interprete precisa, “….per mantenere la forma essenziale dei brani, la natura camaleontica della mia voce e ottenere un effetto corale reale, abbiamo inciso sino a 21 parti vocali in un solo brano….”. Ed infatti, in questo album, di musica ce n’è davvero poca. Ma c’è invece moltissima musicalità. Il primo brano già rende chiaro il percorso: “Grido” è di fatto una poesia, una curiosa ouverture di taglio teatrale. La voce di Secco è molto intensa e profonda; brano dopo brano si rivela. Il cd ì concepito come un lp con i tradizionali due lati e quando dal lato A si passa al lato B, si trovano nuove atmosfere e nel primo brano della virtuale seconda facciata, “Lento”, compare anche un flauto (in “Fame” fanno invece la loro apparizione un pianoforte ed una fisarmonica). Un organetto Farfisa accompagna poi la ballata finale, “Sapone”. Il progetto, caratterizzato anche da un ottimo package, con la copertina realizzata da Cristiano Quagliozzi, si snoda lungo percorsi che a tratti assumono i contorni di autentiche poesie, più recitate che cantate dall’autore. Spesso si ha la sensazione che un simile lavoro, portato sul palcoscenico di un teatro, con un’adeguata scenografia, saprebbe attrarre sin dalle prime battute le attenzioni del pubblico. La dimensione del cd in questo senso appare riduttiva e alla fine dell’ultima traccia, pur avendo colto l’afflato artistico che pervade ogni brano, ciascuno collocato in uno spazio temporale talvolta quasi onirico, sorge spontaneo domandarsi quale possa essere la reale fruibilità di un lavoro di questo tipo, che tende inesorabilmente ad esaurirsi allorquando si varca la soglia dell’innegabile curiosità del primo ascolto.

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