FIREGROUND, ALBUM PIACEVOLE E UN’OTTIMA VOCE

E’ un rock intenso e bello quello dei Fireground, formazione campana (sono di Campi Flegrei) costituitasi nel 2018 e che con il nuovo album aggiunge un tassello ad un percorso artistico già promettente. Senza iperboli, ma con determinazione, le nove tracce dell’album vanno a formare un mosaico di sensazioni che consentono di porre in rilievo alcuni aspetti decisamente positivi di una band che può vantare un requisito non così scontato, soprattutto nella dimensione più propriamente rock.

Mi riferisco alla voce di Marco Franzese che ha sempre le sfumature giuste, non è mai sopra le righe e, soprattutto nell’ultimo brano, completa una tavolozza di tonalità che fa pensare che possa avere potenzialità per ogni genere che volesse percorrere, prescindendo ovviamente da quelle che sono le legittime scelte personali. Tutto ciò senza nulla togliere agli altri componenti della band che, ciascuno con il proprio strumento, dimostrano di saperci fare. Si va a cominciare con il brano più bello: “Hang On 2U” che mette subito in risalto suoni puliti, la determinazione della voce che prende saldamente le redini del brano in un cointesto che esibisce un rock deciso ed una buona linea melodica. Anche in “Aphrodite – Darkestiles” la voce guida e conduce anche se il brano è un po’ meno convincente, soprattutto nella linea melodica. Si riprende quota con ” Don’t Say a Word” che è un bel rock melodico assecondato da sonorità sino a un certo punto coerenti e piacevoli, fatti salvi alcuni tratti solo strumentali un po’ confusi. “Carry On” parte forte, strumenti e voce si alternano e si rincorrono generando una sorta di campo elettrico deciso in un contesto di giusta aggressività. E toni altrettanto decisi trovo in “Worm”, brano in cui la voce trova spazi più ampi, la valenza complessiva non è quella di un capolavoro, ma alla fine il tutto risulta ben eseguito.  “Sometimes” a tratti appare un po’ troppo (ma soprattutto immotivatamente) fragoroso, mentre “Take It Slow” e “Land” sono pezzi transitori come ve ne sono in quasi tutti gli album laddove ad un certo punto traspare un po’ di stanchezza creativa. E si approda a “The Wave” che parte come una tranquilla e intensa ballata per poi rituffarsi, senza però eccedere, in quel rock un po’ più deciso che è il denominatore comune dei nove brani. Un lavoro nell’insieme piacevole, con qualche piccolo cedimento qui e là, ma comunque sempre su livelli di abbondante sufficienza, con alcuni momenti molto interessanti che “arrivano” con decisione. Constatazione finale, l’ottima chiusura di tutti i brani, fatto che può apparire banale, ma che è tutt’altro che scontato.

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