Parliamo di Eredez e del loro cd “Ventre”. Un cd per molti aspetti alternativo, che si apre con ottime premesse, ma progressivamente si diluisce sino a divenire ripetitivo. E ciò pur tenendo conto del progetto che a vari stadi parte dal concetto di rinascita e si chiude con la condivisione, passando attraverso la ricerca, il coraggio, il distaccamento, la perseveranza, le radici, il perdono, la morte, la purificazione, la fede e il desiderio.
Impossibile entrare nella dimensione del messaggio che attraverso queste fasi dovrebbe “arrivare”, semplicemente perchè questo album risente di una forte autoreferenzialità, che lascia però all’oscuro dei per chi e dei perchè, chi ascolta. E’ come un quadro d’arte contemporanea, in cui l’artista pone certamente le proprie emozioni e le proprie passioni, ma appunto “proprie” e chi osserva (in questo caso chi ascolta) annuisce o annichilisce, senza capire. Parliamo quindi delle canzoni come tali, al di là degli eventuali reconditi significati (che nel libretto non sarebbe stato male spiegare). S’inizia bene con “Ventre”, il brano che dà il titolo all’intero progetto, con un senso onirico di aria rarefatta, per poi entrare in un alveo rock decisamente più conclamato, ma non forsennato, ragionato, con una linea melodica ampia ed un pianoforte che va a chiudere il brano, conferendogli profondità. Poi “Cerco te”, anche in questo caso con una buona valenza musicale e la voce che cerca di farsi largo, a fatica, tanto da indurre a credere che il supporto vocale sia poco più di una sponda sulla quale appoggiare la musica. Ma non è così, perchè i testi rivelano una ricerca, ma solo raramente, capiremo poi, svelano i contenuti. “Saltare giù” è fatta da chitarre digrignanti ed una batteria che si fa rispettare, ma scivola via senza una scia. “Mezze verità” dà l’impressione di voli pindarici della voce alle prese con un testo costretto in metriche stiracchiate, ma musicalmente è un buon brano. “Un’altra volta”, forse il brano più fruibile all’ascolto, la voce riesce a farsi largo tra le note ed il brano acquista un aspetto strutturalmente più piacevole. “Ti ucciderei” parte con suoni molto nitidi, piacevoli all’ascolto, la voce torna purtroppo ripetutamente in secondo piano la voce per fare spazio ad una dimensione musicale che si fa quasi enfatica, ma non sgradevole. “Come cade un cuore” è forse il brano che più di altri pone fortemente in evidenza il fatto che i testi qui spesso vanno ben oltre la semplice introspezione, con le conseguenze di cui si scriveva poco sopra. E’ invece più immediato e quindi più apprezzabile il testo di “Un bel sole”, brano che ha anche una buona linea melodica che sbanda un po’ solo nella fase elettronica finale che fa preferire di gran lunga il bell’arpeggiato della chitarra. Da questo punto in poi, cioè per i restanti tre brani (“Fede endemica”, “Numeri” e “Confine”), ci si trova invece al cospetto di una sorta di omologazione all’insegna del rock più scontato, che ci convince che questo progetto avrebbe potuto limitarsi a nove tracce anziché le dodici registrate, proprio per evitare di diluire un discorso musicale che in questo modo risulta un po’ forzato. In questo cd a tratti c’è buona musica, i testi sono certamente interessanti dal punto di vista letterario (ma non da quello dell’immediatezza del messaggio), il “dovere” di fare rock rischia però di inficiare una ricerca musicale che presenta aspetti interessanti e che potrebbe conferire al progetto una maggiore personalità ed una più definita identità.