Riceviamo, tra i cd per i quali ci viene richiesta una recensione, questo “Geni Dominanti” di Cosimo Morleo. Un’imperdibile opportunità per esprimere esplicitamente riflessioni e dubbi che più volte si sono rincorsi nei nostri discorsi, in redazione e tra amici e collaboratori. Si tratta di interrogativi che partono da lontano. Dalla misteriosa origine dell’ispirazione artistica, dell’impulso che spinge alla creazione ed alla proposizione di un’opera. Abbiamo qui un autore emergente, con evidenti e notevoli doti artistiche. Che unisce inoltre evidentemente la disponibilità di musicisti di grande talento. Come si spiega allora che tali e tante potenzialità vengono utilizzate per creare brani che paiono… “scritti da altri”?
Orbene, allorquando trattasi di cover è talvolta comprensibile che l’interprete indulga, anche inconsapevolmente, all’imitazione dell’originale, nei confronti del quale spesso nutre ammirazione e spiccato spirito di emulazione. Ma se colui per il quale ci viene richiesto l’ascolto muove il proprio cammino da una dimensione creativa, per intenderci, è autore di ciò che canta, è legittimo attendersi qualcos’altro. Ascoltando il nostro Morleo invece, si ha la netta sensazione di ascoltare canzoni interpretate da Mango, e composte con pesanti interventi espressivi di Franco Battiato. L’impronta stilistica, l’influenza di questi (grandi!) cantautori italiani risultano talmente evidenti nei pezzi proposti da Morleo, da indurre a leggere meglio i crediti in copertina, per essere certi che i due non c’entrino davvero nulla. No. È proprio tutta farina del suo sacco, pare. Faticosamente prodotta e macinata da lui. Ma allora, vien da chiedersi… perché un autore che presumibilmente sta cercando il proprio spazio di notorietà e di successo, limita la propria creatività al ripercorso di stilemi altrui? Cosa spinge un musicista dotato di una creatività propria ad utilizzare tempo, fatica, risorse… per creare qualcosa che somiglia tremendamente a qualcos’altro? Qualcosa di molto bello, molto ben fatto, molto curato, con bei testi, ottimi arrangiamenti, bella musica. Ma che sa ineluttabilmente di già sentito. Vien da chiedersi se questo “schiacciamento” sotto il peso dell’indiscutibile grandezza degli autori evocati, sia più o meno consapevole. Non è né il primo, né sicuramente l’unico caso in cui ci imbattiamo di questa strana “sindrome”. E se talvolta si tratta di marchiane “scopiazzature”, in altri casi, come questo, risulta invece evidente l’alta cifra artistica dell’autore. Si percepisce chiaramente l’elevata qualità della mano e dell’opera, e spiace pensare che, sicuramente a fronte di fatiche compositive ed interpretative di non poco conto, giunti al momento di proporre il lavoro, la prima risposta che ci si troverà davanti è “Spiacenti, ma ce n’è già un altro così” (o ben altri due, nel nostro caso). A meno che l’autore non voglia tentare di ribaltare completamente la situazione, e proporre le sue opere proprio ai grandi autori che così bene emula. Non sarebbe il primo a farlo: il buon Toto Cutugno scrisse per Celentano canzoni straordinariamente “celentanesche”. E d’altra parte mai negò la propria ammirazione, e la voluta emulazione verso il “molleggiato”. Potrebbe questa essere una strada percorribile: meno foriera di visibilità personale, ma di certo potenziale fonte di indubbie soddisfazioni professionali.