S’intitola “Senza senso” ed è l’album d’esordio del cantautore piemontese Gara (al secolo Giuseppe Garavana, orignario di Vercelli). Nove tracce che forniscono a tratti positive indicazioni, pur mettendo a nudo una ricerca non ancora definita di una cifra artistica che oscilla tra il rock e la dimensione cantautorale e che colloca Gara in una posizione dalla quale dovrà uscire al più presto per poter procedere più spedito nel proprio cammino.
S’inizia a sorpresa con alcune note (pochi secondi) tratte dalla colonna sonora del film “Il Padrino”, per entrare poi nella dimensione di “Don Mariano”, prima traccia che si avvia solo con voce e chitarra e quindi con uno spiegamento rock musicalmente buono; anche il testo tenta di proporre tematiche sociopolitiche, pur se in modo un po’ raffazzonato. “Il principe nero” ci regala un curioso ritornello: “…e se il principe azzurro non arrivasse mai Cenerentola rimarrebbe con una scarpetta sola…”, in realtà una questione destinata a rimanere irrisolta. “Not sense” riattacca con un rock più ruvido (i passaggi sono però di foggia assai ricorrente nella storiografia del rock più tradizionale) per occuparsi della mania dello sballo, assurdo e senza senso, ma capace di fare dimenticare l’ipocrisia di tanto finto buonisno, tanto da convincere molti giovani che chi non sballa è uno sfigato; il tema ci sta tutto e musicalmente regge. “Una chitarra cento illusioni” è la prima delle due cover proposte nell’album, si tratta dell’indimenticabile brano scritto ed interpretato da Mino Reitano nel lontanissimo 1968, pregasi evitare sorrisetti perchè si tratta di una canzone senza tempo che Gara inerpreta dignitosamente con buona personalità. Ed eccoci a “Giuda”, la storia la conosciamo tutti, confermo le mie riserve sul trattare argomenti legati alla religione, anche perchè in questo caso il brano non è gran cosa, pur se non genera imbarazzi di sorta. “Il diario di Bea” è invece un’ottima intuizione, la storia regge, anche se il testo a tratti pare un po’ arruffato; interessante l’aspetto musicale pur se la canzone presenta una struttura piuttost tradizionale (non per questo meno piacevole, certamente meno sorprendente). “Sei un disastro” è il brano di transizione che non manca quasi mai, cioè una canzoncina rinunciabilissima che nulla aggiunge al progetto (ma talvolta qualcosa toglie). Ed eccoci alla seconda cover, “La musica che gira intorno” , grande successo di Ivano Fossati qui riproposto con qualche affanno (ma va considerata la figura carismatica di Fossati che riempie di sè le canzoni) e poi, è difficile cantare Fossati ispirandosi a Bennato (cantautore che ritroviamo a tratti in molti momenti delle interpretazioni di Gara). E si chiude con “Sognando l’arcobaleno”, brano decisamente cantautorale che forse sarebbe stato ancor più gradevole se interpretato semplicemente con voce e chitarra acustica; gli arrangiamenti non sono infatti felicissimi e nella seconda parte il brano rivela qualche cedimento. Diciamo che la canzone c’è, ma poteva essere “spesa” meglio”. Non è comunque male questo progetto di Gara, soprattutto considerando che si tratta di un debut album e quindi qualche attenuante la merita. C’è molto materiale su cui lavorare, ma sopratutto c’è la necessità, come dicevo poco sopra, di definire la propria immagine artistica e su questa giocare le carte future.