Libri, immagini, ricordi, canzoni. E, al centro, dimenticato in un deposito buio di un vecchio bar, un jukebox che un giorno, “risvegliato” per caso da un gruppo di ragazzini che neppure sanno bene cosa sia quello strano marchingegno, inizia a raccontare. Narra la storia di un ragazzo che sognava di fare il cantante. E le tante storie che si affollavano intorno a quel sogno. Quel ragazzino, che si faceva chiamare Agaton, era Don Backy, che proprio cinquant’anni or sono iniziò la sua carriera.
Una lunga galoppata nel tempo, che è passata indenne attraverso le mode che cambiano, le rivoluzioni, le incomprensioni, i trionfi e le delusioni. Restituendoci, mezzo secolo dopo, un artista integro, entusiasta, vitale e, soprattutto, intellettualmente onesto. Per ripercorrere quei cinque decenni incredibili ed entusiasmanti, Don Backy sta lavorando ad una quadrilogia che trae origine dall’arrivo del rock’n roll e della televisione in Italia. Il primo periodo narrato è dunque quello che va dal 1955 al 1969. Il secondo libro, dopo l’entusiasmante trasformazione del modo di pensare alla musica che caratterizzò gli anni a cavallo tra i Cinquanta ed i Sessanta, è invece il decennio compreso tra il 1970 ed il 1980. Di imminente uscita è il terzo libro che si occupa del decennio degli anni Novanta. I titoli delle prime due pubblicazioni sono “Questa è la storia…” e “Storia di altre storie”; quello in uscita s’intitola “Storie di altre strade”.
Don Backy, ci pare di capire che il suo lavoro sia una sorta di storia dell’ultimo mezzo secolo di questo nostro Paese rivissuta attraverso le canzoni, sue ma non solo e le immagini. E’ così?
Assolutamente si. In questi libri c’è un lavoro di ricerca che mi ha consentito di recuperare vecchie fotografie, ritagli, partiture, lettere, tutte testimonianze di epoche trascorse e del nostro progressivo mutare, nel bene e nel male. Il primo libro è caratterizzato da circa 750 immagini e documenti; il secondo ne reca addirittura 900.
Il primo libro s’intitola “Questa è la storia…”, che richiama l’attacco de “Il ragazzo della via Gluck” , il che un poco ci sorprende, visto il suo passato al Clan Celentano dal quale uscì sbattendo la porta nell’ormai remotissimo 1968. Acqua passata?
Quanto accadde allora ormai è storia. Furono scritte tante inesattezze, bugie, libere interpretazioni dei fatti che, in più circostanze, ho ricondotto nelle loro giuste dimensioni. Comunque, quel titolo non ha nulla a che fare con “Il ragazzo della via Gluck”. Era l’attacco di una mia canzone, la prima che incisi quando non ero ancora al Clan e che s’intitolava “La storia di Frankie Ballan” . La scrissi nel 1961 e la incisi l’anno seguente. Fu proprio quel brano che indusse Celentano a volermi nel suo Clan.
Quando si approda agli anni Settanta, quelli della grande contestazione, si scopre che per la storiografia della canzone italiana quelli sono considerati gli anni dei grandi cantautori. Ma quelli come lei, Modugno, Paoli, Bindi tanto per citare i primi nomi di una lunga lista, che già lavoravano da un decennio, non erano cantautori allo stesso modo?
Negli anni Settanta imperversava la politica fatta di forti contrapposizioni. I cantautori di quegli anni divennero lo strumento di una certa parte di quel mondo politico che, attraverso le canzoni, cercava di attrarre alla propria causa i giovani. Noi eravamo quelli che scrivevano canzoni sui sentimenti, sulle emozioni, sulla natura, sulla tristezza e sulla gioia. Quelli degli anni Settanta erano considerati i cantautori dell’impegno perché nei loro testi interpretavano i segnali del disagio sociale e della protesta di quegli anni. Ma, comunque, io non mi sento neppure un cantautore nel senso comune del termine.
Vale a dire?
Io amo definirmi un “cantainventore” perché non mi sento così bravo musicalmente. Molte volte le mie canzoni nascono senza neppure le note della chitarra. Vengono così, mentre guido, di sera. Inseguo un percorso che coniugo con le parole e trascrivo tutto su di un pezzo di carta che poi elaboro e trasformo in canzone. Tamte mie canzoni sono nate cosi.
Però, proprio negli anni Settanta, lei scrisse “Sognando”, una canzone molto impegnata che narrava del dramma dei manicomi e della malattia mentale. Più di trent’anni prima di Simone Cristicchi che con una canzone sullo stesso tema avrebbe vinto un festival di Sanremo….
“Sognando” in realtà la scrissi nel 1971 e non trovai nessun discografico disposto ad inciderla. “Troppo drammatica” mi dicevano “troppo forte nei contenuti, alla gente non piacerebbe”. Decisi allora di inciderla a mie spese e stampai duecento 45 giri, che penso di avere ancora quasi tutti in soffitta. Fu solo nel 1976 che Mina entrò in contatto con me, ascoltò quel brano e se ne innamorò, tanto che lo incise ottenendo un grande successo. La mia versione di “Sognando” uscì invece nel 1978.
Fa un certo effetto sentire parlare di grandi successi discografici in un’epoca in cui chi vende un numero di dischi che un tempo rappresentava a malapena la sopravvivenza, oggi ottiene il disco d’oro…
Il fatto è che oggi ci sono gli ipod sui quali i ragazzini caricano e scaricano ciò che vogliono ascoltare senza bisogno di acquistare i cd. Ma, al di là di questo aspetto, dal mio punto di vista, la musica leggera è già finita da tenpo. Quelli che fanno canzoni e che sono molto bravi, sono ormai tantissimi, troppi, decisamente c’è molta più offerta di quanta non sia la richiesta. E ciò è anche determinato dall’estrema facilità che si riscontra oggi nella realizzazione di un cd. Chiunque può realizzare un cd ed anche a costi contenuti.
Però lei un nuovo cd sta per presentarlo…
Non sarà soltanto un cd. Sarà un cofanetto contenente un cd con dodici brani inediti, un dvd di un mio concerto live a Napoli, due cd con altrettanti back-stage realizzati durante il concerto e nel corso della realizzazione del dvd, oltre ad un libretto. Il tutto verrà messo in vendita a soli 20 euro. Il cofanetto s’intitolerò “Il mestiere delle canzoni”, uscirà il prossimo 1° febbraio ed il costo, volutamente molto basso, vuole essere un mio omaggio a quel pubblico che mi segue da 50 anni con immutato affetto. Un modo per festeggiare il mio mezzo secolo di canzoni e di emozioni.
Per ulteriori informazioni: info@donbacky.it