DASP CI PROVA MA IL SUO ALBUM HA UN DECOLLO DIFFICILE

Lui si chiama Dasp (al secolo Domenica Palopoli, musicista di origini calabresi) ed è da qualche tempo in circuitazione il suo nuovo album intitolato “L’indipendente italiano”. Premetto subito che l’album non mi è piaciuto; otto tracce tra le quali le due migliori sono “Introduzione” ed “Intermezzo”, cioè le uniche nelle quali Dasp si astiene dal canto. Per il resto, ci si ritrova ad avere a che fare con un personaggio che vorrebbe fare il rock, ma vorrebbe fare anche il cantautore, canta testi irrilevanti che paiono spesso delle semplici “alzate” per giustificare le scariche musicali, per altro non sempre deprecabili, come ci scappa pure qualche buon arrangiamento.

Partiamo appunto con “Introduzione”, brano brevissimo che ha un avvio quasi da kolossal cinematografico finchè spunta una chitarra dal suono profondo e pulito; poco più di un minuto, ma gradevole e promettente.  “Indipendente” si presenta come un brano musicalmente pieno, con una linea melodica non felicissima ed un ritornello un po’ travolto dai suoni; discreti gli arrangiamenti, ma non sfugge un testo che fa un po’ a sportellate con la metrica. “Epoca lontana” ci esprime una vocalità che risulterà, tutto sommato, monocorde e qui neppure gli arrangiamenti riescono a rendere più accettabile il pezzo. “Intermezzo” è il secondo brano piacevole del cd, musicalmente interessante, solo strumentale e ben arrangiato. “Solo te” ripropone la voce di Dasp immersa in un rock prepotente, alle prese con un testo irrilevante, ma soprattutto di una ripetitività ossessiva, che ritroveremo. A seguire “1960” che si apre con chitarra e voce (poca) nel tentativo di darsi un contegno cantautorale, che si diluisce però in un brano cantilenante in cui sono passabili solo gli arrangiamenti a cercare di dare un sostegno ad una ripetitività davvero imbarazzante. Con “L’incontro” ritroviamo il ringhio delle chitarre, ma la voce è sempre quella e non decolla, testi e metrica pongono in evidenza ancora qualche bisticcio e la linea melodica è assai fragile. E si chiude con “Vortice”, che suscita qualche perplessità anche musicalmente, ancor più dal minuto 2’25” sino alla chiusura in cui Dasp lascia campo libero ad un’espressione musicale poco motivata, sino a chiudere con la solita chitarra. Non mi convince la voce, non mi convincono i testi, non decollano i pezzi perchè ben poco rimane all’ascolto pur non trattandosi di certo di musica difficile. E, per tutte queste ragioni, non mi convince il progetto, che alla fine non rivela una propria cifra artistica, come Dasp non riesce a fare emergere la propria personalità. Peccato.

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