A cavallo del 2010 c’è stata nel nostro Paese un esplosione di musica live che è partita dal basso e che nel giro di qualche anno avrebbe contribuito a cambiare gli equilibri dell’industria musicale italiana. Erano tutti in giro a suonare per locali e localini di città e provincia.
C’era MySpace e tutti avevano scoperto l’universo di musicisti sconosciuti che avevamo sparsi per la penisola. Andavi in centro e in posti più o meno autorizzati a fare musica trovavi programmazioni serrate con un paio di concerti a settimana. In calendario c’erano ragazzi che giravano l’Italia in furgone senza farsi troppe domande: erano Zen Circus, Luci della Centrale Elettrica, Teatro degli Orrori, Brunori, Dente, Motta, Lo stato Sociale, The Giornalisti, Calcutta, Cosmo per citarne alcuni.
Erano lì perché non esisteva un modo più efficace di fare promo, erano lì perché era la cosa più figa che potevi fare: essere in giro a suonare. Chi organizzava pagava gli artisti il giusto ed era soddisfatto, chi suonava era contento di girare l’Italia iniziando a farsi conoscere e il pubblico aveva un sacco di proposte a cui partecipare spendendo i soldi di una birra; era il più classico caso di situazione win-win.
Poi la tempesta perfetta.
Il mondo indie aveva attirato finalmente l’attenzione dei media tramite il passaparola sui social e chi sapeva fare affari si infilò nel giro. Arrivarono agenzie più grosse a gestire gli emergenti che crearono ben presto una “bolla dei cachet”: appena il loro artista raggiungeva l’hype necessario lo posizionavano su compensi e capienze da grande pubblico. Da Instagram a Radio Deejay senza passare dal Bar Mario.
Gli artisti più giovani intuirono che era la rete il posto dove farsi notare; Spotify e il mondo social diventarono il luogo in cui fare gavetta. Lo stesso uso del computer per scrivere musica, l’home recording e tutta la facilità di lavorazione e condivisione, ha inciso sulla maniera di rendere espresso il rapporto tra concepimento e approvazione dell’opera. Like, like, like.
Il famoso salto dalla cameretta al palazzetto era avvenuto.
Questa logica fece il paio con quella dei talent che già da anni erano operativi e in pochissimo tempo l’idea di girare i peggiori bar di Caracas per farsi conoscere divenne obsoleta.
Di li a pochissimo arrivò il Covid e la rete piccoli promoter subì un ulteriore colpo che molti non ressero. Oggi si stima che di tutto quel movimento di piccoli eventi, microfestival, mini rasegne e più in generale platee tra le 100 e le 200 persone sia diminuito del 50% (fonte
Audiocoop). Per contro, dalla ripartenza post pandemia l’industria dei grandi eventi sta vivendo un’ascesa inarrestabile tanto che organizzare concerti negli stadi non è mai stato così facile per un artista. É sicuramente positivo che la musica live riesca a generare certi indotti e che rappresenti un’industria fiorente del nostro Paese ma non si può fare a meno di notare che in questo modo i percorsi di crescita degli artisti siano molto meno organici e troppo intensivi. Molto
spesso questi giovani artisti si trovano impreparati a gestire un pubblico immediato e, ancor peggio, la cultura della “hit” ha stravolto il loro modo di scrivere canzoni negli ultimi anni.
La rete dei piccoli concerti rappresenta un momento di formazione importante in cui ci si misura con un mestiere in maniera umana e creativamente sostenibile. Si fa musica prendendosi dei rischi, sfidando il mercato e creando diversità. Si cresce capendo cosa significa
stare su un palco e rispettando l’intelligenza del pubblico che decide di seguirti.
Il circuito underground è sempre stato il vivaio della musica che cambia, della musica che incontra le persone ad un livello più personale ed educativo; un arricchimento reciproco per pubblico e artista. I piccoli concerti sono sempre stati un momento culturale molto importante nella vita musicale di un Paese. Il circuito underground è microcircolazione di idee, ossigeno per il cervello di un popolo che può avere il lusso di scendere per strada e trovare il futuro della musica che sta suonando sotto casa sua. Ragioniamoci!