Lui si chiama Sirio. Sirio Pizzato. Ed è un giovane cantautore che ha recentemente pubblicato un album intitolato “Luce”. Un lavoro che è un curioso mix dal quale alla fine prevale una linea decisamente neomelodica, pur se alcune tracce sono percorse da incursioni che strizzano l’occhio al rock ed al rap. Sirio scrive musica e parole di tutti i brani eccetto uno. E lo fa complessivamente bene. I testi sono semplici ma non banali. In più di un caso funzionali alla ricerca di una certa “radiofonicità” (una volta si diceva orecchiabilità) e quindi talvolta sacrificati ad una dimensione volutamente più commerciale. Quindi meglio fruibile.
Stupisce l’ouverture del primo brano, “Solo una parola”, che per quale secondo ci trasporta, un po’ increduli, nelle atmosfere un po’ oniriche dei Pink Floyd. Ma è una fugace sensazione, il brano si rivela di tutt’altra natura e in queste primissime fasi la voce di Sirio, dal timbro non troppo possente, sembra soccombere ad una sonorità robusta. Le cose vanno meglio con il secondo brano, “Il giorno che verrà”, una sorta di inno alla speranza colmo di chiariscuri in cui però la voce del cantautore si fa più convincente. “Stagioni di vento”, flash di un disagio impalpabile ma percettibile coronato da un arrangiamento decisamente più rokkeggiante. In “Semplice” si acquisisce finalmente la certezza che Sirio sa cantare, il testo è più ricercato e la canzoncina va via enza inciampi. “Essere” è invece un brano colmo di allegorie nel quale ad un certo punto si insinua un rap tutto sommato gradevole in quel contesto. Il brano che dà il titolo all’intero album introduce il trittico finale che ci rivela decisamente la propensione melodica dell’autore. “Luce” non è indimenticabile, ma ha buoni arrangiamenti ed una piacevolissima chitarra che va a chiudere il pezzo. “Perdutamente amanti” è un brano che non ci stupiremmo di ascoltare su di un palcoscenico come quello del teatro Ariston ove Sirio, tra le “nuove proposte”, non sfigurerebbe di certo. Checchè ne possa pensare qualcuno, non è un’offesa immaginare un brano al festivalone, soprattutto se Sanremo ricominciasse a rappresentare in modo appena più accettabile la canzone italiana. Dimenticavamo….”Essere” si chiude malissimo, con un giro si basso abortito. E per finire, “Favole da raccontare”; non è una bella canzone forse soprattutto perchè, in questo caso, gli arrangiamenti la penalizzano, non rendendo merito neppure alla voce di Sirio. Un artista che, pur non facendo gridare al miracolo, ha quanto meno il pregio di non tentare di somigliare a nessuno, fuochè a sè stesso. Avrebbe le qualità per trovarsi un posticino tra quegli artisti di passaggio, un po’ in vista un po’ no, senza infamia e senza lode.