S’intitola “Non canto per cantare” il cd recentemente pubblicato da Cranchi. E non si fatica a scoprirlo sin dalle prime delle dieci tracce contenute in questo album, scritto e prodotto da Massimiliano Cranchi e Marco Degli Esposti. Va anzi riconosciuta l’onestà morale di un preavviso, che non si ravvisa in altre dimensioni nelle quali ci si ammanta di rock per poi finire con “Bandiera rossa”.
“Il cantico”, brano che apre il cd, è una ballata piuttosto scontata che pone però subito in risalto il bel binomio di voci composto dai due cantautori, ma si decolla subito e si decolla bene con “Mariposa” (liberamente ispirata a “El Arado” di Victor Jara, cantautore cileno inviso al regime di Pinochet), canzone con una bellissima linea melodica e arrangiamenti che ne completano l’intensità. “11 settembre 1973” è la data del colpo di stato cileno che portò all’uccisione del presidente Allende ed alla presa del potere da parte dell’esercito di Pinochet. Canzone intuibilmente molto politica, musicalmente ben strutturata, con una chiosa ottima, ma un testo che, proprio perchè politicamente così impegnato, risulta difficile da coniugare con una canzone. Scorre anche “California 1849” con il suo sogno di libertà, ma con qualche fragilità nonostante il buon arrangiamento. “Tenda rossa”, forse per via del comandante che facilmente si accomuna al “generale” di degregoriana memoria, pare una canzone che starebbe nelle corde del cantautore romano. Ma è con “L’isola infelice” che si approda ad una canzone finalmente intrisa di poesia vera, poesia d’amore, poesia ben strutturata nella musicalità d’insieme, arricchita dalla voce femminile di Maria Roveran; e sull’onda di queste sensazioni si procede ancora con “Dove sei e dove vai”, ballata molto coinvolgente pur nella semplicità del suo “giro” di accordi, sorretta ancora da un testo di bell’impatto emotivo. Purtroppo il calo di tensione è dietro l’angolo e puntuale si presenta con “Eroe borghese”, pastrocchio che mischia la Milano da bere, gli sbirri, la Dc, il cattolico mai stato di sinistra (succede) e talvolta si ha la sensazione che si violenti anche la metrica pur di farci stare il concetto (politico, certo) da inseguire. Neppure dal punto di vista musicale il brano si salva. “Mia madre e mio padre” è invece una canzone estremamente delicata, che quasi sussurra la tematica di una riflessione lieve nell’intreccio di un istante tra la dimensione umana e quella divina. E, infine, “Giulia” che raffigura immagini e concetti un po’ depassè (si poteva raggiungere lo scopo anche senza tirare in ballo Gesù) e che non risulterà probabilmente tra i brani più incisivi di questo progetto. Conclusione? Fermo restando che rimane aperto il dibattito sulla misura in cui la politica possa strumentalizzare la musica per trasmettere i propri messaggi, in questo caso ha vinto largamente la musica, che anzi, in alcuni frangenti ha “salvato” anche le situazioni più claudicanti. Cranchi c’è e ci sono i musicisti che hanno lavorato con lui, il disco si ascolta con attenzione, si ha la percezione di un lavoro accurato ed il conforto di un buon uso della lingua italiana. Fatto oggigiorno sempre meno frequente e scontato. (Cranchi – “Non canto per cantare” – New Model Label)