La FIMI pubblica le classifiche delle vendite discografiche rilevate nel corso del 2015 e scopriamo che ben nove album tra i primi dieci classificati sono prodotti “Made in Italy”. E al primo posto svetta Jovanotti con “Lorenzo 2015 CC” seguito da Tiziano Ferro con “TZN – The best of Tiziano Ferro”. Terzi The Kolors con “Out”. L’unica presenza estera nelle prime dieci piazze è quella di Adele (al quarto posto con “25”). Qualcuno, al cospetto di questi dati, si è lasciato andare a commenti sarcastici che rivelano, principalmente, la mancanza di rispetto nei confronti di chi ha permesso la configurazione di questa graduatoria: il pubblico. E questo atteggiamento ricorda troppo da vicino la supponenza con la quale, nella sala stampa del teatro Ariston, in occasione di un recente Festival di Sanremo, alcuni colleghi apostrofarono il pubblico (“la gente” per dirla giusta) che con il proprio voto non aveva portato alla vittoria Elio e le Storie Tese, che godevano invece della spinta allo spasmo degli addetti ai lavori, preferendole Marco Mengoni, figlio dei talent. Ma perchè non si prova mai a chiedersi per quale ragione il pubblico faccia una scelta anziché un’altra, chiudendo poi gli interventi con una valle di lacrime perchè nelle classifiche di vendita non compare mai un prodotto “indie”? Quando si parla di classifiche, non si dovrebbe mai dimenticare che ciascuno dei personaggi che compaiono in quelle graduatorie, ha alle spalle una major, cioè una multinazionale del disco (guarda caso, sia per Jovanotti sia per Ferro è la Universal). E non si dovrebbe fare finta di non sapere che le major sono solite acquistare spazi di programmazione dei brani dei loro artisti in radio e televisioni, occupando anche le pagine dei principali quotidiani nazionali con benefit leciti, ma discutubili. Al cospetto di questi “tsunami” promozionali che mettono in gioco cifre rilevantissime, è appena ovvio intuire quelle che saranno le scelte che il pubblico farà, inconsapevolmente condizionato (o anche consapevolmente condizionato, ma intanto quello passa il convento). Ed è ipocrita e puerile piangere sull’assenza degli artisti indipendenti che non potranno mai disporre di quelle promozioni, né di padroni (e padrini) a quei livelli. Quando leggiamo i dati FIMI dunque, come nel caso di quelli del 2015, possiamo compiacerci per il fatto che, una volta tanto, il mercato discografico italiano non è stato invaso dai soliti anglo-vichingo-americani di turno, ma per una volta hanno avuto la meglio produzioni nazionali. Ma non possiamo fingere di non sapere che quello è un mercato inquinato e “drogato” da strategie aziendali che si basano esclusivamente sulla potenza della disponibilità finanziaria. Unica variante (l’unica davvero stabilita dal pubblico) è la collocazione in classifica di un artista anziché un altro, cosicchè Laura Pausini può risultare al dodicesimo posto (e c’è già di parla di flop) mentre i Modà sono al nono. Ma sul fatto che quella cerchia di artisti (e solo quella) avrà sempre in mano il pallino del gioco, non vi è alcun dubbio. Ascoltate le radio, guardate le tv, leggete i giornali e ditemi quanto spazio vi trovate dedicato alla musica indipendente. Se non ne trovate, la risposta ve la sarete già data da soli.
Giorgio Pezzana