In questi giorni è rimbalzata su Facebook la dura (ma probabilmente motivata) reprimenda di una cantautrice, Alex Bartolo, che scrive di avere preso parte ad un festival nel Cuneese, traendone una serie di impressioni profondamente negative per lo scarso livello artistico, l’organizzazione lacunosa, l’incerta attendibilità della giuria, l’aleatoria consistenza dei premi. Il tutto però, pagando una tassa di iscrizione per poter partecipare. Con la promessa che nella fasi successive della rassegna si sarebbe materializzato dal nulla niente meno che Mogol. A dare sostegno alla malcapitata è intervenuto anche il cantautore Francesco Baccini il quale, con fare un po’ guascone, ma molto tranchant, scrive che i concorsi non servono a nulla e consiglia ad Alex di cercarsi un’etichetta. Si tratta di affermazioni piuttosto gravi e altrettanto superficiali, non tanto perchè non veritiere in assoluto, quanto per la faciloneria che le caratterizza. Intanto, non è vero che i concorsi ed i festival non servono a nulla. Occorre però valutare di quali concorsi o festival si va parlando. E quelli che richiedono, sin dal primo approccio, una tassa di iscrizione, in genere non sono buoni concorsi né buoni festival. Insomma, occorre prestare molta attenzione per far sì che i festival non servano solo a chi li organizza, come invece purtroppo spesso accade. Per quel che riguarda poi il cercarsi un’etichetta, Baccini dovrebbe sapere più e meglio di altri che oggi il settore discografico è diviso in due ampie porzioni: quella delle major che spadroneggiano ovunque e quella delle etichette indipendenti, spesso rappresentate dagli stessi musicisti che si autoproducono o comunque da società più o meno traballanti, con capitali irrisori, scarsa o nessuna penetrazione sul mercato, visibilità affidata ad un sito ed a qualche video, non sempre di qualità, postato su Youtube. Le major, ove le probabilità di entrare sono tante quanto quelle di insegnare danza classica ad un rinoceronte, quando decidono di investire su di un artista, producono il suo lavoro, lo piazzano per qualche settimane in svariati programmi radiofonici e televisivi, acquistano la compiacenza di alcuni critici di grandi testate. Dopodichè, o l’artista “buca” e allora si va avanti, oppure lo si accompagna più o meno gentilmente all’uscio e l’esperienza finisce lì. In altri termini, o c’è un ritorno economico interessante o si chiude il rapporto. L’approccio con le etichette indipendenti è certamente più facile ed immediato, però quasi sempre la realizzazione di un progetto è legata alla disponibilità di investimento, quanto meno parziale, che è in grado di affrontare l’artista. Quindi, dice bene Baccini quando scrive “cercati un’etichetta”… ma il suono che ne deriva è ancora più cupo di chi dice oggi ad un giovane “cercati un lavoro”, sapendo che la disoccupazione tra le nuove generazioni ha superato ormai il 42%. Dice invece malissimo quando scrive “i concorsi non servono a nulla…” perchè getta discredito immotivato e gratuito sulle poche rassegne che ancora operano senza nulla chiedere agli artisti, offrendo loro qualche raggio di visibilità, cercando di promuovere i veri talenti. Ma, anche in questo caso, bisogna saper scegliere, in un panorama un po’ desolante, ove pullulano i cialtroni.
Giorgio Pezzana