“L’ultima generazione felice” è il titolo dell’album di Aleco, cantautore romano che in dieci tracce ha percorso un pensiero spazio-temporale mettendo a segno un paio di brani decisamente belli, altri tre o quattro passabili e almeno tre rinunciabilissimi soprattutto perché il primo e forse anche unico appunto che si può muovere a questo artista riguarda la ripetitività talvolta eccessiva di alcuni giri di accordi. Trovato un motivo che piace, la tendenza è quello di estenderlo per l’intera canzone, sino quasi a fiaccarla. E talvolta è un peccato perché il “motivo che piace” è davvero un motivo che funziona.
S’inizia con “L’ultima generazione felice” che già con il solo titolo potrebbe introdurre un convegno sulle tematiche del tempo, dei giovani, dei ricordi, della spiaggia, dei palloni; un brano fruibile, con la partecipazione di Sofia Dessì, concettualmente interessante anche se non troppo coinvolgente. “Arrivo per cena” è una canzone dalla struttura classica, non male come testo, un po’ flebile negli arrangiamenti. “Quel pizzico” è invece la canzone meglio riuscita dell’album, caratterizzata da un testo poeticamente molto ben costruito e delicato ed un andamento che rapisce l’ascolto ricordando, a tratti, il miglior De Gregori. E si procede con “Ma che bella l’estate” che è una canzoncina allegra, immediata, con un ritornello curiosamente un po’ avulso rispetto al brano nel suo insieme e con una “rappata” di Chiara Falasca che forse ci sta meglio del ritornello. “Almost jazz” è un discreto brano che passa e scivola via strizzando l’occhio ad un jazz molto diluito. “Alessandro smettila”, senza offesa, è imbarazzante con quel “i-i-io” alla fine di ogni frase e la vera fortuna è che ha una durata inferiore ai due minuti. “E così nacque Roma” è invece una canzone strana, cantata in romanesco (sempre gradevole da ascoltare), caratterizzata da buoni intenti ma da una linea melodica un po’ fragile che rende quindi meno avvincente il tutto. “Tutti i tuoi sbagli” è l’esempio più eclatante (ma non unico) di come, trovato un buon motivo, lo si rimugina con evidente ripetitività, quasi sino al tedio (il che è spiacevole soprattutto quando il motivo in sé sarebbe piacevole). “Tutto finisce così” ha il difetto appena citato per il brano precedente ed il cantare le stesse note anche in lingua spagnola non migliora la situazione. E si va a chiudere con “Una panchina di montagna” che ci offre un altro buon testo ed anche un più ampio senso di completezza negli arrangiamenti, sino ad approdare ad un finale quasi epico che è un buon coronamento di un percorso in cui il concetto temporale insiste sui ricordi, sugli arrivi e sui ritorni. Aleco esegue bene i suoi brani (per la parte musicale con lui ha collaborato Andy Micarelli, che è anche l’arrangiatore), ha una buona impostazione cantautorale, non va mai sopra le righe delle sue potenzialità vocali. Il fatto che in questo lavoro vi siano alcuni spunti di rilievo notevole svela l’esistenza di potenzialità che potrebbero certamente portare alla realizzazione di un nuovo progetto con meno chiaroscuri.