Agnese Valle è una cantautrice e clarinettista romana, diplomata al Conservatorio di Sana Cecilia di Roma, docente nella Casa Circondariale femminile di Rebibbia, ove tiene un corso di educazione all’ascolto ideato e diffuso a livello nazionale da Franco Mussida della PFM. Da poche settimane Agnese ha pubblicato il suo album, “Ristrutturazioni”, caratterizzato da dodici tracce, alcune delle quali già molto apprezzate nell’ambito di alcuni importanti concorsi nazionali. Un album ricco di professionalità, non altrettanto di fruibilità, ma certamente piacevole e, fatti salvi un paio di brani, senza cali di tono o approssimazioni.
Si apre con “Palmo su palmo”, una canzone caratterizzata da un bel testo ed un’altrettanto bella linea melodica, arrangiamenti soft ed una voce che appare subito decisa e dalle sfumature piuttosto originali. “Cortocircuito” ci pone al cospetto di una dimensione vocale meno convincente e di un brano nell’insieme meno immediato. “Come la punta del mio dito” è invece una canzone musicalmente molto bella, “difficile” nella ricercatezza di un testo che comunque racconta attraverso immagini quasi dipinte diversi stati d’animo, il tutto incorniciato in un contesto molto raffinato anche nell’interpretazione. Su “Cactus” ho personalmente qualche perplessità, nonostante una buona interpretazione ed un altrettanto buon arrangiamento, lo collocherei, insieme ad un’altra canzone che troveremo più avanti, tra i pezzi rinunciabili. “Al banchetto dei potenti” è una sorta di atto d’accusa che assume la dimensione di una ballata; in certi frangenti ci riporta ad alcune canzoni del De Andrè più social-politico e più sarcastico. “La terra sbatte” è un’ideale punto di raccordo tra il Bataclan ed Amatrice, tragedie diverse che scuotono la terra e che Agnese porge, in forma ovviamente assai evoluta, un po’ nella dimensione dei vecchi cantastorie. Curiosissima è “Di carne e di pietra”, brano intenso e delicato che pone l’una di fronte all’altra due dimensioni femminili, l’una vivente, di carne appunto e l’altra di pietra (l’ispirazioni viene dalla Matres Matutae, una statuetta ex voto di pietra custodita gelosamente a Capua); un incontro ideale in cui il tempo di fonde con quello della musica. “L’ultima lettera dell’astronauta” è forse il brano migliore dell’album, con una linea melodica semplice e lineare che porta ad immaginare la riflessione di un uomo che sta per lasciare la Terra e non sa se e quando tornerà; molto delicato anche l’arrangiamento ed intensa, ma senza fronzoli, l’interpretazione assecondata da un “giro” bellissimo di accordi al pianoforte. “Fame d’aria” è il secondo brano poco convincente, pur se animato da una curiosa intuizione introspettiva (l’effetto psicofisico claustrofobico derivato nell’artista dall’ascolto delle tracce precedenti); una canzone che si fa ossessione, ma in realtà non decolla. “Ventilazione”, il brano che segue, è in realtà l’unica canzone non originale trattandosi di una cover di Ivano Fossati che sembra però fatta apposta per dare continuità al brano precedente; Agnese interpreta bene, nell’assoluto rispetto dell’autore. E approdiamo a “Il tonno”, brano musicalmente non eccezionale, ma allegoricamente interessante (“…che fatica nuotar controcorrente…”) nel quale l’autrice immagina un tonno che decide di staccarsi da branco e di prendere un’altra direzione; canzone nell’insieme non riuscitissima, anche se ha un buon andamento che in questo senso la rende più fruibile di altre. E si chiude con “Scivola”, brano esistenzialista, anche qui direi “difficile”, ma comunque di buon ascolto; ottimo l’arrangiamento che consente una dignitosissima chiusura dell’album. Direi dunque che “Ristrutturazioni” è un progetto interessante, in alcuni momenti molto intenso, che ci rivela una cantautrice tanto determinata quanto delicata, attenta ad inseguire una propria dimensione artistica ed umana, ancor prima del facile approccio, d’impatto immediato, ma assai più evanescente.