La nostra inchiesta sul tema “La musica è finita? Quale futuro per la musica?” prosegue con l’intervento di Andrea De Rosa, cantautore napoletano, da qualche tempo al vertice dell’etichetta discografica indipendente Apogeo Records, piccolo “miracolo” sorto nell’ambito del progetto sociale Altra Napoli Onlus per la riqualificazione del rione Sanità del capoluogo partenopeo. Un punto d’osservazione importante per la musica, sia per la tradizione che lega la canzone italiana a quella napoletana, sia per l’evoluzione sociale (e conseguentemente anche artistica) in un contesto difficile ma stimolante.
Se la crisi del mercato discografico rendeva difficilmente comprensibile la mia idea, nel 2013, di fondare un’etichetta discografica, resistere ancora oggi è quasi follia. Alla progressiva scomparsa dei supporti fonografici a favore di streaming e download, si è aggiunto lo stop dei live, delle manifestazioni culturali e di qualunque altra tipologia di evento, cosa che ha dato il colpo di grazia alle già sparute vendite. Non è poi di secondo piano ricordare che i pochissimi sussidi previsti sono stati spalmati sulle grandi catene di produzione lasciando al palo i piccoli produttori che praticamente non hanno ricevuto nulla. La musica vive ormai in una perenne crisi che ha obbligato tutti i (piccoli) produttori a reinventarsi quotidianamente, a sperimentare. Apogeo Records, ad esempio, è nata da un progetto dell’Altra Napoli ONLUS, nel rione Sanità di Napoli, che ha dato vita ad un vero e proprio modello di sviluppo dal basso che, da qualche anno, è confluito in una Fondazione di Comunità Locale, la Fondazione San Gennaro. Da quando siamo nati, lavoriamo in questo circuito e con i giovani del quartiere in stretto contatto con la rete educativa con il fine di trasferire l’idea di bellezza e cultura che è sottesa a tutte le nostre iniziative. Per noi questa è la Musica più importante, quella che fa del tuo lavoro anche un impegno sociale, sicuri che l’Arte possa essere un mezzo di sviluppo e crescita.
Se negli anni Novanta ci si poteva concentrare sulla sola produzione, affidandosi alle vendita dei dischi, dagli anni Duemila, bisogna fare i conti con un mercato diverso dove, per sopravvivere, bisogna guardare alla musica in un’ottica globale. Non è stata casuale difatti la scelta, per noi, di costruire una piccola factory in grado di seguire un progetto discografico a 360°. E proprio nella logica del “non adagiarsi mai”, nel 2016, abbiamo iniziato a lavorare sull’integrazione dei linguaggi audiovisivi, diversificando le competenze del nostro team verso la produzione video al fine di monetizzare le musiche prodotte dagli Artisti in nuovi canali, diversi dalle vendite dei supporti e dai live. Questo processo ha portato alla realizzazione di due lungometraggi “Il Sistema Sanità – Le Pietre Scartate” e “Le Catacombe di Napoli” che, a breve, vedranno una buona distribuzione su emittenti nazionali.
Dopo quasi un anno di stop dai live, davvero non si capisce in che modo chi produce musica possa continuare a farlo se poi quella musica non viene più venduta. Una crisi che abbraccia l’industria e ancor di più le micro-imprese discografiche. Ma questa è una crisi del mercato o della musica? A ben vedere, la produzione musicale si è incrementata vertiginosamente con produzione più o meno casalinghe che possono essere immesse in quello che forse è definito impropriamente mercato. Questo esercito di Artisti spesso agisce per conto proprio, senza etichette al seguito in un circuito di indipendenza totale.
Vi è dunque una stretta relazione tra crisi e cambiamento: da un lato abbiamo una crescente necessità di esprimere sé stessi attraverso la musica accompagnata dalla possibilità di produrre a costi ragionevoli – il che è sicuramente sinonimo di un fervore artistico della scena contemporanea – e dall’altro, forse, un inganno di fondo, latente, che contribuisce a riempire il web di prodotti che finiscono con il rendere invisibili coloro che non orbitano nel mainstreem.
Già, perché distribuire un brano su una piattaforma digitale non significa inserirlo in un mercato effettivo ma in uno potenziale e talvolta illusorio. Essere immessi in una stessa piattaforma con i grandi nomi di sempre della musica e le star del momento, crea probabilmente un ponte immaginario tra sé stessi e loro atto ad una effimera opportunità di essere ascritti ad un reale piano di notorietà.
Verrebbe da chiedersi se, forse, la musica possa iniziare a vivere senza industria, almeno ad alcuni livelli. Forse la musica sta tornando ad essere un processo individuale che trova come unico epicentro l’Artista? Questo processo probabilmente interessa anche la fruizione che non mira più al grande pubblico, cosa che risponde ad esigenze industriali, ma diviene semplice canale di comunicazione spesso con pochi utenti. Possiamo pensare che, in qualche modo, questo nuovo panorama renda gli artisti più liberi, proprio poiché la mercificazione della musica, a mezzo di un mercato, non interessa un’ampia fetta della produzione che dunque ha come unico scopo quella di essere diffusa e messa a disposizione di chi vorrà ascoltarla. Nel frattempo, l’unica cosa che possiamo fare, è continuare a lavorare con costanza e coraggio senza temere del futuro.