E’ da qualche tempo in circuitazione “Memorie dal futuro”, il nuovo album dei Leda che, in tempi più recenti, da questo progetto hanno ricavato il singolo/video “Deriva”, ultimo uscito. Ma parliamo dell’album e delle sue undici tracce, più della metà delle quali presentano una siuazione purtroppo sempre ricorrente: la voce della frontwoman Serena Abrami travolta da sonorità eccessive che impediscono letteralmente di comprendere i testi delle canzoni.
Orbene, come ho già avuto modo di dire in altre circostanze, se i testi (e dunque anche la voce) devono diventare un pretesto (o un supporto) per giustificare schitarrate a manetta sarebbe bene saperlo e non credo che sia questo il caso. Diversamente si rischia di trovarsi al cospetto di un prodotto imbarazzante e che, alla fine, ha poco o nulla anche di rock (generazioni passate di esponenti del rock ci hanno inegnato e dimostrato che il rock non è o non è soltanto l’isterismo delle chitarre elettriche lanciate su tutto come dardi infuocati). Tant’è che in questo album il brano decisamente più interessante, cioè il migliore in assoluto, è quello in chiusura, “Il sentiero”, con la partecipazione di Marino Severini, così come può risultare piacevole “Deriva” (bello il video realizzzato da Davide Calvaresi), dopodichè mettiamoci un paio di brani di transizione (cose che non incidono sul peso specifico del prodotto) e rimangono le perplessità su tutto ciò che non ci è stato dato di ascoltare. Che singolarmente ogni componente della band sappia il fatto suo, non vi sono dubbi. Che Serena Abrami disponga di doti vocali eccelse, non saremo certo i primi a dirlo. Ma alla fine ciò che conta è il prodotto e, al di là delle singole e ragguardevoli potenzialità, “Memorie del futuro” risulta un album mediocre che non può diventare molto buono solo per un paio di brani che svettano sulla media. E non lo può nè lo deve diventare finchè prevarrà la convinzione che la musica possa sovrastare la voce (e quindi i testi) perchè quando in un brano musicale esiste un cantato (e quindi un testo) a comandare è la voce e null’altro. Concezioni antiche? Forse, ma un brano, se ha un cantato, lo si ascolta soprattutto per “vivere” ciò che la canzone nella sua parte narrante vuole dirci. Se così non fosse, tanto varrebbe incidere solo album strumentali. E concludo precisando che ho provato ad ascoltare i brani con cuffie, senza cuffie, su impianti diversi. E salvo due/tre eccezioni il problema si è sistematicamente ripresentato. Da qui la mia valutazione, lo devo confessare, anche un po’ contrariata.