QUESTO TEMPO NON CONCEDE TEMPI D’ATTESA

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“La musica è finita?”. Stiamo ponendo questa domanda a diversi musicisti, cantautori, interpreti, chiedendo loro una riflessione attenta ed articolata. Perchè? Perchè la sensazione di una dilagante incapacità di ascolto della musica si è fatta ancora più pressaante. Perchè forse è la musica che non sa più farsi ascoltare. Perchè ci troviamo al cospetto di paradossi come quello di una iperproduzione discografica nel momento storico peggiore per la discografia, dal dopoguerra ad oggi. Perchè forse non c’è neppure più la voglia di prestare attenzione ad accordi, parole, suoni  e melodie, è sufficiente un fragore di sottofondo che stordisca, frastorni, confonda. Oppure no, oppure qualcosa si sta muovendo nell’apparente povertà d’idee di questa espoca? Le prime riflessioni ci giungono da Alessandro Hellmann, cantautore, scrittore, poeta di grande sensibilità artistica.

La musica è finita? Difficile, nel pieno di un cambiamento storico, sociale e culturale, trovare un punto di osservazione che offra allo sguardo, dalla giusta distanza, una prospettiva ampia su ciò che direttamente ci coinvolge. Stando ad una dichiarazione forse intenzionalmente provocatoria di De Gregori, la canzone in fondo, prima che un fatto culturale, sarebbe una forma di intrattenimento. Bene, perché anche il solo domandarsi come sia cambiato e stia continuando a cambiare l’intrattenimento, sia nella forma che nei contenuti, può fornire spunti sufficienti per provare a decifrare il nostro tempo.
Un tempo che non concede tempo all’attesa: il progressivo calo della capacità media di attenzione e concentrazione (che assumiamo come un dato di fatto, in quanto l’argomento sarebbe meritevole di una trattazione a parte) obbliga il messaggio ad essere breve, semplice o, meglio, assente. La parola smette dunque di essere veicolo di riflessione, condivisione, sviluppo narrativo o esperienza estetica ma diventa gioco, nonsense, puro suono che fa da contrafforte a riff elementari e insistiti e necessita di sincronizzazione con un’immagine in movimento per poter rivendicare la propria esistenza. Al massimo, diventa slogan, titolo a caratteri cubitali, comunque avulso da qualsiasi forma di approfondimento. La musica è finita? No, è soltanto finita la musica come l’abbiamo conosciuta. Perché il nuovo arrivi è necessaria una discontinuità brusca che determini il passaggio attraverso la completa distruzione del vecchio. E nel bene e nel male, pur assistendo al penoso spettacolo di collaborazioni improbabili in cui il passato si aggrappa al presente per sopravvivere e il presente si appoggia al passato per essere riconosciuto e legittimato, non si può dire che non siamo, in questo processo di annientamento, decisamente a buon punto.
Alessandro Hellmann
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