“Un labile tepore” è il titolo dell’album del cantautore di origini pugliesi, ma torinese di adozione, Valerio Cinque. Dieci tracce intense, dolenti, poetiche, per certi spetti faticose, tanto da rendere doveroso soffermarsi sul forte turbamento personale dal quale sono scaturite. Valerio, appena quattordicenne, perse entrambi i genitori in seguito ad un tragico incidente stradale dal quale uscirono vivi soltanto lui ed i suoi fratelli. Un dramma che lo ha avvicinato alla musica e che lo ha visto frequentare prima l’Accademia di Musica Moderna e poi il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino, ove si è laureato lo scorso anno in chitarra jazz con il massimo dei voti. “Un labile tepore” è il suo debut album, interamente autoprodotto e con il coinvolgimento di un nutrito numero di musicisti, del Quartetto d’Archi dui Torino e del PGM VocalSection, coro diretto da Antonio Greco.
Il cd, contenuto in un sobrio ma elegante package, ha una dedica: “Per mia madre. Per i genitori che non ci sono più. Per coloro che restano”. Ma la dedica non è fine a sè stessa perchè l’intero lavoro risente fortemente, profondamente, direi anche disperatamente, del vuoto incolmabile lasciato da quella perdita. S’inizia con “Lettera di compleanno”, un’introduzione anche questa evidentemente dedicata alla madre, poco meno di due minuti per entrare in una dimensione più ampia ed articolata. “Un labile tepore” rivela quello che sarà il percorso di questo progetto, realizzato certo senza badare ad una facile frubilità, adagiandosi, come in questo caso, ma come in quasi tutti i brani, su di una linea melodica incerta, anche affannosa, alle prese con un testo pensato e sofferto, tra una sorta di sogno ed una difficile realtà. Notevoli gli arrangiamenti. “Nella mia umanità” è una canzone con bel testo, buoni arrangiamenti e la sensazione di addentrarsi quasi su di un terreno fatto di ricerca, musicale ed anche testuale. “L’identità” è una canzone che procede sino ad un certo punto con cadenza lenta, quasi indolente, per poi crescere in una sorta di rabbia sorda, quella che non scaturisce dall’impulso, ma si nasconde tra le pieghe dell’anima. “Mondo di veglia” ha contorni quasi onirici, a cavallo tra sensazioni sospese ed eternità, compare una seconda voce che tra poco scopriremo meglio, una sorta di sostegno, perchè la voce di Valerio non ha certo un timbro eccellente, eppure dice, racconta e si fa ascoltare. “Volare via” ci fa incontrare la voce limpidissima e dolcissima di Giulia Mastria ed è davvero un volo che sfiora più volte una dimensione poetica che pare sgorgare dal gelo dell’anima, con l’intervento finale di Valerio. “Su di una costa deserta” pare concedere qualche cenno di fruibilità, prima pressochè inesistente, ma il tutto è sempre pervaso da molta profondità ed ancora una volta emergono ottimi arrangiamenti. “Nel turbinio” è forse il brano più difficile, ma forse anche il meno riuscito, anche se il testo conquista come sempre l’attenzione offrendo una sorta di omaggio a che ci ha dato la vita. Ne “La legge dei miracoli” torna la voce di Giulia, piacevole come prima, pur nei meandri di un’altra canzone difficile, ma a questo punto ci si accorge di come, uno dopo l’altro se ne siano andati quasi tutti i brani dell’album e l’ascolto non ha mai concesso un solo istante alla distrazione; è come una sorta di inseguimento della sofferenza, che però non corre mai troppo veloce ed ogni volta riconsegna il doloroso piacere di averla raggiunta. E si va a chiudere con “La perfezione del tuo amore”, qui Valerio parla, recita una poesia, rivendica il senso di una perdita che non ha rimedio poi, la seconda parte del brano è solo strumentale ed è la degna chiusura di un cammino difficile, sconnesso, dolorosamente piacevole, intenso. Difficile pensare ad un lavoro come questo ed immaginarlo ai vertici delle hit discografiche, ma è certamente un progetto pluridimensionale, nel quale si ritrovano la musica, la poesia, le emozioni, le voci ma, soprattutto, l’anima. Meritano di essere riportati i brevi versi in un angolo della copertina: “Sfiorare le tue lacrime come nell’oasi dei tempi andati, stretto e sospeso nel tuo calore”. Sono le prime parole del brano “Un labile tepore”.