I DEMONI INQUIETI DI SONIA SCIALANCA

Sonia Scialanca è una cantautrice che farebbe la gioia di quei critici che esaltano ciò che spesso neppure loro comprendono. Ha nel suo curriculum artistico percorsi jazzistici che emergono ripetutamente, ha molta dimestichezza con la sua voce, si avvale di musicisti dotati di solide basi, è a suo modo originale, ma di un’originalità che entra in conflitto quasi costante con la fruibilità di ciò che scrive e canta. Nel suo album, “Demoni”, di brani cosiddetti “radiofonici” o, ancor peggio, commerciali, non ve ne è neppure l’ombra.

 

I testi sono di fatto poesie, spesso ispirate all’ermetismo più ostinato e quando diventano canzoni, pare strano oltre che difficile cogliere appieno il senso di frasi come “Nell’attrazione di ciò che non abbiamo confondiamo le necessità, eliminando il nostro intimo essere compensiamo con la materialità “(da “Stati di alterazione della componente emotiva” che non è un trattato di psicologia, ma il titolo del brano). Oppure “Cadono dalla bocca come dal cielo e sprofondo. E’ cresciuto il silenzio e ho urlato in silenzio” (da “Tra noi”); roba da fare invidia ad Ungaretti che dell’ermetismo fu grande maestro. Poi vi sono i brani come “La giusta scelta di tempo (nel movimento)” (sic!) nei quali la voce volutamente s’impasta con la musica sino a divenire essa stessa strumento; prove d’alta scuola, ma a farne le spese è nuovamente la fruibilità del brano. Ed anche se ripetutamente si colgono arrangiamenti che, pur assecondando le iperboli compositive della cantautrice, offrono momenti strumentali di evidente pregio, non svanisce sino all’ultimo brano la sensazione, non gradevolissima, di una forzatura della componente colta spacciata per afflato artistico. Afflato che in ogni caso, quand’anche fosse frutto di specchiata sincerità, troverebbe rifugio in una nicchia a molti preclusa. Concludendo dunque, se la musica e, segnatamente, la canzone d’autore, deve essere portatrice di emozioni, necessita di una certa immediatezza, che non significa concedersi alla banalità. Se invece ci avventuriamo sull’impervio sentiero della ricerca, vale tutto o quasi, ma i toni si fanno inesorabilmente più incerti e sfumati.

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