E’ di queste settimane la pubblicazione del nuovo album degli Under the Bed, “Controlled Filth”, rock band toscana a tinte forti che ripropone il tema più volte affrontato sul modo di pensare al rock oggi, sulle sonorità, sul senso del cantato, sull’aggressività non sempre motivata ed assunta quale emblema di un genere che storicamente sta di certo dalla parte della ribellione, ma non obbligatoriamente in modo rude.
Ma andiamo ad ascoltare queste cinque tracce iniziando con “Threshold”, un brano che ci illude con un inizio anche troppo soft, ma originale, per poi esplodere in un rock ruvido, quasi isterico, che vede scalare in discesa la curiosità che aveva destato in prima battuta. “Slouch off” ha invece, sin da subito, una partenza lanciata, che può coinvolgere, ma non paga la cifra artistica del gruppo, ancor meno con un finale apertamente confuso. “#3 Blew My Mind” è nuovamente rock duro con qualche passaggio un po’ più tenue, che lascia però ancora un senso di incompiuto, decolla si presume “scenograficamente”, in dimensione live, ma il solo ascolto, al contrario, ci lascia a terra. “Rabid” è anche in questo caso un rock robusto, meglio strutturato rispetto al brano precedente e consente di apprezzare un aspetto positivo di questa band: la capacità di non sovrastare la voce; è un aspetto sempre più raro nelle rock band di questi ultimi anni, tanto da indurre spesso a domandarsi che senso abbia la scrittura di un testo sul quale poi vengono vomitati suoni sino a renderlo intelleggibile. Non è il caso degli Under the Bed che anzi, in questo brano regalano anche un piacevole passaggio di sola voce e chitarre, purtroppo troppo breve, per concludere poi nel modo solito, lasciandoci questa volta in braghe di… metal. E si va a chiudere con “Cleansed by Failure”, brano di oltre sette minuti caratterizzato da un rock deciso dal percorso piuttosto articolato. Al minuto 3 decolla la parte più interessante del pezzo, che ci lascia però al minuto 4 e 23″ per farci ripiombare nel delirio che assume, per le tonalità incalzanti, le tonalità dell’inferno di dantesca memoria e questa volta con la complicità più accentuata e prolungata di arie neppure troppo vagamente metal. Viste le premesse, ascoltati i cinque brani e tirate le somme, si può dire che si percepisce a più riprese una manualità strumentale molto agile, qua e là qualche lampo d’ingegno, insufficienti però per attenuare la sensazione di una mancanza di personalità complessiva del progetto. Di band che danno una chiave interpretativa simile al concetto di rock, oggi in circolazione ve ne sono tante, forse troppe. Proprio per questo l’originalità risulta merce sempre più rara. Per fare un esempio, il leggendario assolo di Mark Knofler, chitarrista dei Dire Straits, in “Tunnel of love”, dopo quasi 40 anni incanta ancora, più dell’intero brano, perchè quell’assolo aveva contribuito a conferire al pezzo un elemento di originalità riconoscibile ed irripetibile. Ora, evitando paragoni scomodissimi ed improbabili, è però quella la strada da seguire, la ricerca di una cifra artistica riconoscibile e troppo spesso introvabile.